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| Moni Ovadia con Vincenzo Coviello | 
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Una scena nel film di Papaleo «Basilicata coast to  coast» e ora una docufiction con Moni Ovadia ispirata alla tradizione  musicale
  davanti al centro oli Eni di Viggiano, cuore della Val d’Agri dove  esiste il maggior giacimento di petrolio dell’Europa continentale. «A  chi tanto a chi niente» commenta con la cantilena del luogo Vincenzo  Coviello, detto «Cusumiello», perché qui si è conosciuto più per il  soprannome che per il nome. Comincia così 
Alma Story, docufiction  diretta da Gerardo Lamattina su soggetto di Dario Zigiotto, presentata  il 28 novembre al Mei (Meeting delle etichette indipendenti) di Faenza.
In Alma story recitano molti personaggi di Viggiano, che  fu feudo dei Sanseverino, dei Sangro, dei 
Loffredo, per finire nel  marchesato dei Sanfelice. Coprotagonista è il farmacista Nino Caiazza,  presidente della Pro Loco da una vita e appassionato fotografo. Una  particina il versatile dottor Caiazza se l’era guadagnata anche in 
Basilicata coast to coast,  il film di Rocco Papaleo, ma il paese nelle cui viscere scorre l’oro  nero che ha dato nuova linfa a tutta la Basilicata era poco  rappresentato. Così al figlio di Nino, Luca Caiazza, farmacista pure lui  e assessore alla Cultura, venne l’idea di fare un film interamente  dedicato a Viggiano una sera che navigando su internet si imbattè in  un’intervista di Moni Ovadia a un gruppo di studenti. L’attore,  scrittore e musicista che ha reso popolari in Italia le musiche del  folclore askenazita con «Oylem Goylem» raccontava agli studenti delle  ricerche condotte dal suo maestro Roberto Leydi, uno dei fondatori della  nostra etnomusicologia, sull’arpa viggianese. L’unico caso di arpa  portativa conosciuta in Italia.
Ovadia aveva colpito al cuore Luca Caiazza, che a scuola, come  tutti i bambini del posto, aveva dovuto mandare a memoria i versi del  poeta ottocentesco Pier Paolo Parzanese, «ho l’arpa al collo son  viggianese». Una poesia del 1838 che fotografa il destino di una  comunità che dalla metà del Settecento agli inizi del Novecento aveva  trovato sostentamento in un mestiere, quello del suonatore ambulante  d’arpa portativa, di flauto e violino, documentato nelle statuine  settecentesche del Presepe Cuciniello a Napoli e in una serie di  documenti resi noti dal lavoro di un brillante etnologo, Enzo Alliegro.  Docente all’università di Napoli, Alliegro, che sta per pubblicare una  storia dell’etnografia italiana, nata proprio qui in Basilicata e anche a  Viggiano con le ricerche pionieristiche di Ernesto De Martino e di  Diego Carpitella, è autore del saggio 
L’arpa perduta (Argo), dove  documenta e spiega lo strano destino di questo paese di cui ci si può  bene rendere conto da una tabella sui mestieri degli sposi tra il 1809 e  il 1910: su 4.076, 2.433 (60%) erano contadini, mentre 537 musicisti  (13%). A seguire, artigiani, proprietari, pastori, professionisti.  L’Alma artistica di questa comunità è stata così celebrata anche con un  film grazie al fiume di danaro che portano le royalties dell’oro nero.  «Spendiamo duecentocinquantamila euro all’anno per le attività  culturali», dice Luca Caiazza, animatore di un programma che spazia da  un festival jazz a una rassegna di concerti d’arpa, a un concorso  intitolato al grande flautista Leonardo De Lorenzo e a uno dedicato ai  film culturali.
Duecentocinquantamila euro all’anno per la cultura sono tanti per  un paese di 3.150 persone, ma poco in confronto ai circa cinquanta  milioni di euro affluiti in dieci anni nelle casse del Comune.
 
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 | Pozzo di petrolio dell'Eni davanti a Viggiano | 
L’ingegner Giuseppe Alberti, sindaco del Pd al secondo mandato,  scottato quattro anni fa da un’intervista in cui passava per un  amministratore che non sapeva come gestire questa manna, snocciola ora  con sicurezza dati e programmi. I 18 pozzi attivi a Viggiano sui 28  della Val d’Agri (ma i pozzi in totale sono una cinquantina) producono  oltre cinquantamila barili di petrolio al giorno che vengono processati  nel grande centro oli dell’Eni prima di essere trasferiti con un  oleodotto a Taranto. Secondo l’intesa firmata con l’Eni, alla Regione va  il 7 per cento del valore del petrolio. Di questo 7 per cento, il 15 va  direttamente ai Comuni, il resto dovrebbe essere ridistribuito dalla  Regione alle aree interessate, anche se non sempre è così. Comunque al  Comune di Viggiano, a seconda del prezzo del petrolio, arrivano  annualmente dagli otto ai quindici milioni di euro. E questo flusso di  denaro potrebbe continuare per ancora quindici-vent’anni. «A parte il  settore culturale - riassume il sindaco Alberti - una ventina di milioni  sono stati stanziati per opere pubbliche che comprendono una piscina  coperta, un palazzetto dello sport, un museo nella restaurata villa dei  marchesi Sanfelice che abbiamo acquisito». Oltre 3,6 milioni vanno poi a  sostegno dell’occupazione, secondo un bando che prevede l’erogazione  per 36 mesi di mille euro alle aziende lucane che impieghino una  viggianese, novecento se il viggianese è di sesso maschile. Un programma  particolare con 4,8 milioni riguarda poi le attività produttive: un  imprenditore che presenti un buon progetto di investimento di  quattrocentomila euro ne potrà ricevere sino a duecentomila a fondo  perduto. Poi ci sono i due milioni per l’agricoltura... A Viggiano si  racconta che Giuseppe Nigro «Terranevra», soprannominato così per aver  faticato nei campi tutta la vita, alla morte del suo asino, l’ultimo  esemplare rimasto in paese, abbia pensato di presentare domanda al  Comune per comprarne un altro.
 
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 | Uno stemma con l'arpa su una casa di Viggiano | 
Viggiano nuova Bengodi? «Alla fine degli anni Ottanta, quando  Raffaele Di Nardo firmò per la Regione la convenzione con l’Eni  accettammo il petrolio come una sfida», dice Vittorio Prinzi, dal 1980  per vent’anni sindaco comunista a Viggiano e ora consigliere provinciale  nell’Idv, «ma a me pare che si stiano affrontando i problemi partendo  dalla coda. Soltanto quest’anno è stato istituito l’Osservatorio  ambientale Val d’Agri per la valutazione dell’impatto ambientale e gli  investimenti fatti mi sembra non vadano ancora nella direzione giusta  per un sostegno reale all’occupazione e per assicurare un futuro ai  nostri figli». L’economia locale non si può basare solo sulle  sovvenzioni, come i cinquanta miliardi di lire arrivati dopo il  terremoto del 23 novembre 1980 che colpì duramente Viggiano. Sulla  stessa linea è il medico Giambattista Mele, che parla di «un aumento  sicuro dei tumori in Basilicata anche se non si può fare l’equazione  petrolio=cancro, poiché un monitoraggio non è mai stato fatto e solo  quest’anno è nata una commissione comunale». Poi Mele avverte: «Per ben  due volte, il 24 novembre 2008 e il 2 febbraio 2009 dal centro oli si è  levato un boato e la fiamma di sicurezza è arrivata a 35 metri». Ma  l’Eni smentisce che si sia mai verificato un incidente. Si teme per la  salute dei cittadini ma anche per le colture rinomate: i fagioli di  Sarconi, il pecorino di Moliterno, il vino della Val d’Agri che ha  ottenuto il riconoscimento doc grazie alla sapienza dei fratelli Pisani.
 
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 | I fedeli portano a spalla la prima domenica di maggio la statua della Madonna nella cappella sul monte | 
Una voce di dissenso si alza anche dalla Basilica di Viggiano, che ospita la Madonna Nera, protettrice della Lucania e vero simbolo del paese. Citata nel 
Cristo si è fermato a Eboli  di Carlo Levi e nei racconti di Leonardo Sinisgalli, la Madonna  venerata dal Cinquecento anche in Calabria e in Campania sembra passata  in secondo piano. Don Paolo D’Ambrosio, il colto parroco di Viggiano,  non ha gradito il cartello che accoglie i visitatori dopo una recente  delibera della giunta comunale: «Benvenuti a Viggiano, paese dell’arpa e  della musica». Per la verità qualche centinaia di metri prima c’è un  altro cartello, del 1995, che definisce «Viggiano città di Maria». Dice  don Paolo: «Non mi riconosco nell’operazione culturale che punta  unilateralmente sull’arpa e sulla musica. Non voglio soldi, ma chiedo:  quanto si è investito sul patrimonio religioso? Niente». In effetti il  culto mariano a Viggiano data dal tredicesimo secolo, quando secondo la  tradizione sul monte del paese, 1775 metri, venne scoperta una effigie  lignea della madre di Gesù salvata dalla furia iconoclastica che risente  di evidenti influssi bizantini. Già una bolla di Giulio II nel  Cinquecento parlava del culto della Madonna di Viggiano e nel 1892 alla  cerimonia di incoronazione della protettrice della Basilicata  parteciparono 30mila fedeli. La Regina della Lucania, che viene portata a  spalle sulla cappella del monte ogni prima domenica di maggio e  riportata in paese ogni prima domenica di settembre, con l’arrivo del  petrolio sembra aver perso il centro della scena, tanto che don Paolo  parla con sospetto di «rinascita massonica ». Una cultura, quella dei  fratelli muratori, introdotta a Viggiano dai suonatori ambulanti che  nelle capitali europee assorbivano idee liberali e socialiste. Tanto che  nel 1911 quasi un terzo dei capifamiglia si dichiarava ateo.
Benvenuti nel paese di Maria, dell’arpa e del petrolio. E delle molte contraddizioni.
 
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 | La cappella sul monte, a 1775 metri (servizio fotografico di Nino Caiazza) | 
La storia
Cultura religiosa e laica corrono parallele a  Viggiano, nella cui basilica è ospitata la statua lignea della Madonna  Nera, patrona della Basilicata. Oltre al culto mariano, Viggiano  custodisce un tesoro di tradizioni legato all’arpa portativa. I  viggianesi furono dal Settecento al primo Novecento suonatori ambulanti  nei grandi centri europei, ma poi anche in America e in Australia. A  questa tradizione si rifà la docufiction con Moni Ovadia, «Alma Story»,  che è stata presentata al Mei di Faenza  il 28 novembre. Viggiano ha  conosciuto nella sua storia moderna due terribili terremoti. Il primo,  nel 1857, rase al suolo il paese e fece ottocento morti. Il secondo  grave terremoto fu quello del 23 novembre 1980 che colpì l’Irpinia e la  Basilicata. Viggiano fu dichiarato Comune gravemente danneggiato e ha  ricevuto circa 50 miliardi di lire per la ricostruzione.
