Ci andavo da ragazzino in trasferta per le partite giovanili di pallacanestro.
Non era tempo di palazzetti e parquet. Ricordo del campo all'aperto e del vento freddo, o del sole cocente, e delle mattonelle.
Ogni volta che ci ritorno chiedo di quelli che erano avversari mai domi e che ora sono amici.
Chiedo del Prssor, Salvatore Martire, allenatore di centinaia di giovani e per decenni simbolo della pallacanestro tursitana.
Più in la nel tempo e grazie a Carmela ho scoperto altri angoli e persone.
Ho conosciuto la cripta della chiesa di Santa Maria Maggiore e il limoncello di suor Pacifica e suor Celeste, ultime guardiane di una fede antica e genuina.
A Tursi ci ritorno volentieri e ogni volta scopro angoli diversi.
E ogni volta scopro bella gente e un pizzico di follia.
Foto di Giovanna Cuoco |
Ma Francesco è sopratutto un poeta, uno di quelli veri, uno di quelli che con la poesia ci nasce e in qualche modo, secondo i propri strumenti, trova il modo di tirarla fuori.
Come conosco Francesco? Grazie ad una traccia o un segno direbbe qualcuno.
In auto con Francesco Silvio e Giovanna, stavamo andando su in Rabatana e lungo la strada che conduce al quartiere arabo noto degli alberi bardati con veli bianchi.
"Che sono quei veli intorno a questi alberi?" Chiedo.
"E' opera di Francesco".
Mi dice l'altro Francesco, non poeta ma architetto e innamorato e conoscitore della Rabatana.