Strutture spesso nobili ed affascinanti, i ponti costellano con la loro presenza città, strade e sentieri. Utilizzati sovente come semplice strumento per l'attraversamento di un corso d'acqua o di un avvallamento, secondo la loro precipua funzione, i ponti offrono però spunti interessanti per altre riflessioni, se analizzati un poco più attentamente.
Nell'ideazione e nella realizzazione di un ponte si sono sempre affiancate diverse motivazioni ed istanze, sia razionali che irrazionali, che ne hanno fatto una figura strutturale tra le più interessanti e nello stesso ambigue, tanto che a volte il progettista si è trovato e si trova, ancor oggi, a dover conciliare aspetti di natura strategica, tecnica ed economica, senza tener conto poi della concezione simbolica del ponte, talvolta inconscia ma
presente in ogni cultura, come tramite verso l'ultraterreno ed il soprannaturale.L'ottica di vedere un semplice e puro ponte su un guado, specialmente per la Basilicata, terra ricca di strutture sconosciute e ancora degne di restauri, può aiutare a comprendere, anche in un'epoca che spinge verso finalità ben precise come l'attuale, come possa essere possibile la valorizzazione di queste opere, specialmente se con risultati contrastanti, producendo talvolta opere deformi in assoluto contrasto con l'ambiente circostante, ed in altri casi invece opere eleganti e raffinate, tappe importanti dell'evoluzione dell'architettura e dell'ingegneria.Con il presente lavoro si è inteso osservare più da vicino un particolare ponte che nel criterio turistico-geografico e storico non è stato mai considerato, ma che ritengo interessante analizzare. Ciò può essere uno spunto per gite e passeggiate, capaci di attrarre un maggior numero di persone, magari inserendolo in un più ampio itinerario. Pur non vantando opere quali il ponte di Avignone o il ponte Vecchio di Firenze, la Basilicata conserva bellissimi esempi di ponti medievali. Opere quali il ponte di Forno di Lemie in Val di Viù, ed il ponte del Diavolo a Lanzo Torinese ed altri in Svizzera bene illustrano lo stato della tecnica raggiunto dai costruttori medievali. Caratteristica comune a questi ed altri ponti dell'epoca è di trovarsi lungo vie di comunicazione di antica tradizione, spesso risalenti alla dominazione romana ed al suo impianto stradale. I manufatti attuali, in molti casi, furono costruiti in corrispondenza di precedenti attraversamenti in legno, con l'intento di rendere più sicuri e duraturi tali passaggi. Ancora oggi la loro localizzazione e la loro struttura denunciano una particolare attenzione nella scelta del punto di attraversamento del corso d'acqua, piuttosto che nella ricerca della linearità del percorso. Confrontati con la maggior parte delle opere romane, i ponti medievali, soprattutto quelli di più tarda costruzione, se talvolta mostrano una minore raffinatezza dell'esecuzione, colpiscono d'altra parte per l'ardita struttura. Tale leggerezza era cercata con un affinamento graduale della struttura, anche a costo di crolli improvvisi, ben lontano dall'eccessiva prudenza dei trattati del romano Vitruvio e del rinascimentale Leon Battista Alberti. La maggior parte dei ponti di questa epoca, e per diversi secoli ancora, è caratterizzata da una struttura a schiena d'asino. A differenza dei ponti veneziani, per cui tale schema era dettato da esigenze di navigazione nei canali, queste opere sono il frutto della convinzione tecnica dell'epoca, secondo cui una struttura di questo tipo sarebbe stata più resistente di un arco a tutto sesto o ribassato con via di corsa rettilinea.Nei pressi di Campomaggiore, all'altezza dello svincolo sulla SS 407 "Basentana", si trova una delle più interessanti, curiose e sconosciute costruzioni medievali di cui la Basilicata sia dotata. Si tratta di un ponte ad una sola luce con arco a pieno centro che da tutti viene conosciuto ed è segnato nelle mappe come "Ponte della Vecchia".Ad esso si arriva dopo aver superato lo svincolo nei pressi del Ponte Balzano; una volta giunti alla cosiddetta zona di espansione industriale di Campomaggiore ed effettuata una salita con l'automobile dopo aver abbandonato quest'ultima, si prosegue lungo uno sterrato verso il fiume Basento, lungo un antichissimo tratturo denominato nel secolo scorso Trono. Per chi effettua questo percorso, l'unico davvero praticabile e, comunque, da inserire in un itinerario turistico, la costruzione appare monumentale ed ardita, se si pensa che subito al di sotto scorre impetuoso il fiume che, almeno in questo tratto, appare a volte dolce nel suo corso, ma molto profondo. Probabilmente è questa situazione piuttosto pericolosa che ha indotto gli abitanti di Pietrapertosa e Campomaggiore a denominare il ponte come Ponte della Vecchia. Si narra, infatti, che molti secoli fa una signora del luogo, feudataria di Policoro, avesse perso uno o due figli proprio in quell'attraversamento e che quindi avesse costruito il ponte in onore di essi; un'altra tradizione la rimanda alla presenza e al passaggio di Annibale: se quest'ultima storia è da escludere, è necessario supporre che il ponte ed il suo guado furono sempre oggetto di passaggi importanti per la comunicazione fra i vari centri delle Dolomiti Lucane e della Media Valle del Basento.La storia è piuttosto singolare: come mai una leggenda dedicata ad una fantomatica signora feudataria di Policoro? Probabilmente le ipotesi più attendibili sono due: la prima è che il ponte, per le caratteristiche magico-religiose che ha sempre rappresentato nell'Antichità e nel Medioevo, era un luogo "sacro"; ed in effetti di sacro in questi luoghi erano proprio le magiàre o masciare, cioè le anziane donne che con pratiche pagane guarivano o davano il malocchio. Di qui la derivazione, forse, di ponte vecchio in ponte della Vecchia.Una seconda ipotesi, molto suggestiva a dire il vero, è che un lontanissimo riferimento lo ritroviamo nelle fonti scritte. Sappiamo che in Basilicata vi era già il Ponte di Santa Venere, e che l'imperatore Federico II provvide alla sua riparazione, come risulta da un atto del 1250 quando stabilisce che tutte le proprietà presenti presso il Ponte di San Nicola dell'Ofanto e tutte le rendite provenienti da esse fossero adibiti "ad reparacionem et consummacionem pontis ibi constructi vel construendi". Un altro ponte viene nominato, però, già nel 1118, e si riferisce ad Albereda, signora di Colobraro e - combinazione - Policoro, vedova di Ruggero di Pomerada e moglie di Riccardo Senescallo, che concede alla Trinità di Venosa un ponte sul fiume Agri che aveva fatto costruire il marito. Ecco presente, dunque, una donna, il che significa che anche alla figura femminile, sebbene subalterna, si concedono alcune prerogative piuttosto importanti come la realizzazione o il restauro di un ponte.Per chi prosegue sulla Basentana da Matera a Potenza, il ponte presenta le sue caratteristiche fondamentali, ovvero un ponte con arco a tutto sesto che, per prospettiva, sembra essere leggermente ribassato, i cui parapetti e pavimento si presentano a schiena d'asino, particolari del vicino Ponte romano di Potenza (distanza circa 32 km, ciò significa che questo ponte è più medievale che romano) e del ponte sulla fiumara di Rendina nei pressi della stazione FS di Rapolla, all'altezza del bivio per Venosa. Il ponte è a campata unica, con luce di circa 12 m, ed un'altezza massima sull'acqua di circa 15,8 m. Le spalle sono imponenti ma, a differenza di altri esempi coevi, non appare evidente l'esistenza in esse di locali, da cui si potesse sparare attraverso feritoie, a difesa del ponte stesso. Confronti lontani, ma molto stringenti, si hanno con il Ponte della Maddalena, o del Diavolo, sul fiume Sarchio, riferibile al XIV sec., che presenta una luce a tutto sesto centrale (diametro 45 metri), ed altre minori, con schiena d'asino soprastante, e il Ponte sul Treia presso Civita Castellana. La larghezza totale del ponte è di 4,10m, mentre la carreggiata è di 3,61. Il percorso si snoda sino a raggiungere la parte più alta, che separa la strada in due settori: quello di Campomaggiore lungo 26,30, quello di Pietrapertosa 46,30, cui si aggiunge un'altra spalla seriore di 14 metri per un totale di 86,6 m circa. Ad esclusione del pavimento e del parapetto tutta la costruzione è ottenuta con blocchi mediamente squadrati di calcarenite ed arenaria, subarrotondati piatti, poggianti su letti di posa suborizzontali ed orizzontali, a volte raddoppiati, attualmente quasi privi di stilatura dei giunti; probabilmente questa considerazione perviene dalla presenza di un'abbondante quantità di malta, dove gli elementi, di qualsiasi forma, venivano accuratamente costipati forse con delle casseforme (di cui non è rimasta alcuna traccia) per contenere i paramenti la cui presa non era ancora ultimata. Per la messa in opera dei blocchi veniva impiegata una malta composta soprattutto da calce, sabbia (frequenza degli inclusi ad esame macroscopico: circa 2-3 parti) ed acqua; il legante, quindi, era meno "bagnato" nella misura minima del 12-15% rispetto a quella utilizzata per i pilastri poiché meno soggetto alla ventilazione. L'inserimento di calcari nella miscela, in schegge anche piuttosto grandi, permetteva di procedere in altezza consentendo il lento e progressivo assestamento ed un'omogenea distribuzione delle spinte che, come si è accennato, venivano forzate con l'uso di casseformi. Via via che si procede in altezza si nota l'assenza di questo tipo di tecnica; si lasciava a risparmio qualche foro per travicello quadrangolare dove, eventualmente, inserire i pali per effettuare un restauro. La forma e le dimensioni delle spalle fanno pensare che i costruttori abbiano prima realizzato le due solide estremità, protese mediante due specie di mensole verso il centro del fiume, e quindi tra esse abbiano teso l'arco centrale. Tale procedimento spiegherebbe l'assenza di simmetria e l'andamento non curvilineo del fianco più lungo, quello a destra del Basento. Elemento non accessorio appare il parapetto, che certamente è di costruzione recente, fra la I e la II Guerra Mondiale, che collabora con il seppur esile arco a creare una sezione dalla notevole rigidità strutturale, talvolta pericolosa. In effetti il Ponte della Vecchia non possedeva in origine il parapetto. Tale soluzione si ritrova anche in altri ponti coevi, quale ad esempio il ponte di Forno di Lemie (ricostruito nel 1477). Scartata la soluzione a più archi, dato il notevole dislivello, il ponte fu costruito, come si è detto, con lati fortemente disuguali per poter attestare pila e spalle sugli speroni del greto: il versante appartenente a Campomaggiore misura 26,8 m, quello appartenente a Pietrapertosa 46,8 m. Da ammirare, comunque, l'armonia complessiva dell'opera, frutto dello spirito e della tecnica medievale, che hanno saputo materializzarsi in questo ed in altri ponti con la stessa bellezza, anche se in forme architettoniche diverse, delle più famose cattedrali. Il ponte può considerarsi un esempio dell'evoluzione della tipologia di tali manufatti dall'epoca gotica a quella rinascimentale della Basilicata. Tipicamente gotica appare l'originale struttura del calpestio, anche se rifatto da interventi ottocenteschi e della metà del XX secolo, come i rinforzi in calcestruzzo nella parte settentrionale, ma l'essenzialità della struttura era ricercata anche a costo di ripetuti crolli del cantiere, da cui non fu esente neppure questo ponte, stando a quanto si può notare nelle murature.Di influsso già rinascimentale è invece il ritorno all'arco a tutto sesto, che ritroveremo anche nelle fortezze e dimore baronali come il castello di Laurenzana, per cui appare corretto intendere tali elementi come frutto unitario di una progettazione cosciente e teoricamente fondata: con una tale sovrastruttura l'arco a sesto acuto non sarebbe stato sfruttato appieno. Infatti, a parità di struttura resistente, l'arco acuto può sopportare carichi in chiave maggiori dell'arco a tutto sesto, carichi che entro certi limiti concorrono alla stabilità dell'opera stessa, aumentando la coesione tra gli elementi dell'arco. Tali carichi devono però agire quanto più possibile sulla chiave dell'arco. Non così avviene per il ponte di Forno, per il quale è stata quindi correttamente scelta una struttura a tutto sesto. La parte superiore presenta, come si è detto, parapetti in calcestruzzo, certamente realizzati negli anni relativi alla costruzione della cisterna dell'acquedotto, che ha reso quasi indecifrabile la fisionomia originaria del ponte. Lungo il percorso, infatti, è nascosto un tubo tramite lastre calcaree in direzione di Pietrapertosa, che poi si immerge nel terreno per comparire a debita distanza. Anche la parete dove si appoggia il ponte, a ridosso del percorso ferroviario, presenta medesime caratteristiche, evidenziate dalla presenza di fori per travicelli alla stessa altezza, preceduti da quattro corsi orizzontali di pietre squadrate e lievemente bugnate. L'arcata interna non presenta tracce di una centinatura, se si escludono tre grandi fori quadrangolari all'altezza dell'imposta, che fanno supporre una centinatura aerea.Eccezionale ed inedita è la scoperta relativa alla datazione del Ponte, che si ricava sull'archivolto meridionale: precisamente nell'undicesimo concio è ravvisabile l'incisione "mCCCCVII", che coincide grosso modo con la datazione dei ponti citati; nel nono concio, inoltre, è scolpita a bassorilievo una rosetta che troveremo spesso in finestre e sculture cinque-seicentesche di Basilicata e Puglia. Credo, a questo punto, che il Ponte della Vecchia si configura come l'unico, vero ponte medievale con incisa una data, il che non deve far preoccupare lo studioso: l'area dove insiste la costruzione ha dato i natali a Jacopo da Trifoglio (antico casale di Pietrapertosa), che nel castello di Uggiano presso Ferrandina ci ha lasciato un'iscrizione del 1350 dove ricordava il restauro delle mura.La pavimentazione del Ponte che rientra nel comune di Campomaggiore è la più degradata, in quanto su di essa si è formata una coltre di terra e fango che proviene da un canale di deiezione di acque bianche provenienti dal pianoro soprastante.Le lastre di questo settore sono più grandi, come misura, rispetto a quelle appartenenti al comune di Pietrapertosa, e formano una linea centrale affiancata da una serie di lastre giustapposte con regolarità costante, ma non in maniera simmetrica. Le lastre appartenenti a Pietrapertosa sembrano essere più antiche, poiché di pezzatura più antica e, certamente più degradate rispetto alle altre, oltre ad essere disposte in maniera alternata.Il punto in cui si presenta la fanghiglia presenta una piccola depressione dovuta all'infossamento dello stesso riempimento del fianco nord del ponte, fatto che indica una situazione pericolosa per la staticità del piano di calpestio.Si è detto che questo settore appartenente al Comune di Pietrapertosa è certamente il più conservato nella pavimentazione, ma non nel fianco che dirige verso sud-est, in direzione di Metaponto. In esso sono presenti contrafforti ed archi di scarico che appaiono realizzati in epoche diverse e, comunque, con diverse tecniche, anche se non sono del tutto differenti.I contrafforti rappresentano un evento costruttivo importante per il Ponte della Vecchia. Essi sono distribuiti solo nel settore meridionale appartenente al Comune di Pietrapertosa, nel prospetto che si affaccia verso Metaponto, probabilmente perché più interessato a contrastare la forza cinetica del Basento. Si tratta, per lo più, di quattro pilastri quadrangolari, addossati a diverse distanze, certamente seriori al ponte e con un "modulo" leggermente inferiore alla costruzione originaria. Anche la malta è differente da quest'ultima e risulta più porosa e meno compatta. grossi blocchi sono disposti su file orizzontali, alla rinfusa e con diversi spessori ottenuti con ciottoli di fiume, non seguendo la regola dell'alternanza; sembra pertanto probabile che alcuni pilastri furono realizzati in tutta fretta, in un periodo non molto distante dall'epoca di costruzione vera a propria.Sono presenti, inoltre, diversi rifacimenti seriori. Sappiamo che in numerosi punti del suo corso, il fiume Basento ha sempre destato pericoli in base al suo regime, che lungo alcune anse si presenta abbastanza impetuoso. Prima che fosse costruita la Diga del Camastra, inoltre, la portata dell'acqua era certamente maggiore, ed ancora oggi gli abitanti della zona ricordano come in alcuni periodi il vicino Ponte Balzano (costruzione ottocentesca che congiunge Castelmezzano e Pietrapertosa a Campomaggiore) veniva totalmente sommerso dalle acque.Nell'Archivio di Stato di Potenza è stata rintracciata una breve ed interessante documentazione relativa al restauro del ponte agli inizi degli anni Ottanta del XIX sec. Il 23 febbraio 1879 la Deliberazione della Giunta Municipale di Pietrapertosa, spedita alla prefettura di Potenza, così recitava: "minacciando rovina il Ponte sul Basento, detto della Vecchia, tanto necessario al traffico di molti comuni, essendo stato in gran parte distrutto dalle piene l'unica via per accedervi, denominata Trono...il ponte...messo fra i tenimenti di Pietrapertosa e Campomaggiore, non pure serve al traffico de' comun vicini, ma benanche a molti discosti, come Stigliano, Cirigliano, Gorgoglione, Corleto Perticara, Guardia, Armento, Laurenzana ed altri, e che perciò deve ritenersi d'interesse Provinciale, anziché locale. Considerando che le occorrenti riparazioni al Ponte stesso sono reclamate con la massima urgenza, sia per non vedere mancato un mezzo assolutamente indispensabile al traffico, che per la conservazione di un'opera grandiosa e forse monumentale". La costruzione del Ponte della Vecchia, quindi, fu dettata certamente da questa esigenza. Oggi appare inverosimile che fosse necessaria la realizzazione di un ponte così ardito per un fiume attualmente dal facile guado, che un tempo serviva numerosi comuni legati dalla tradizione della transumanza e del commercio.A dimostrarlo non è solo l'altezza notevole tra il piano di campagna e il livello del fiume, ma anche la costruzione di un muro di contenimento sul versante meridionale dell'alveo. Permetteva il passaggio, in quel punto, di bestiame e uomini nei pressi di una parete instabile e franosa, proprio quella appartenente al Comune di Pietrapertosa. Ora, è difficile affermare che questo muro sia contemporaneo al ponte, ma si può ragionevolmente affermare che in queste contrade le tecniche costruttive, in situazioni differenti, presentano medesime caratteristiche.In sostanza, se oggi ammiriamo ed abbiamo trovato tante notizie su un ponte inedito come il Ponte della Vecchia, dobbiamo molto ai restauri reclamati dal Comune di Pietrapertosa più di cento anni fa. E se già allora il Ponte era "un'opera grandiosa e forse monumentale", tanto da essere risparmiato dal percorso della statale "Basentana", merita di essere conosciuto, fruito e restaurato con urgenza per non piangere ancora la povertà della Basilicata.
BIBLIOGRAFIA CRITICAQuesto lavoro, che dedico a Gina, Serena, Mario Hermàn e Mario Caprara, è inedito. Studi di ponti, in Basilicata, non esistono e bisogna rifarsi al Piemonte. Cfr. C. Ratti, Da Torino a Lanzo e per le Valli della Stura, Torino 1883; G. Milone - P. Milone, Notizie delle Valli di Lanzo, Torino 1911; A. Cavallari Murat, Lungo la Stura di Lanzo, Torino 1973; AA.VV., I ponti delle Valli di Lanzo, Torino 1978; S. Lombardi, Il Piemonte antico e moderno delineato e descritto da Clemente Rovere. Composizione e studio critico, Torino 1978. Su altri ed originali ponti cfr. G. Coppola, Ponti medievali in legno, Roma-Bari 1994, e Id., La costruzione nel Medioevo, Avellino 1999. La notizia del restauro al Ponte della Vecchia è in Archivio di Stato di Potenza, Prefettura, Atti Amministrativi (1878-1882), fasc. 447 n. 3388.
Testo di Pierfrancesco Rescio tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 2000
Nell'ideazione e nella realizzazione di un ponte si sono sempre affiancate diverse motivazioni ed istanze, sia razionali che irrazionali, che ne hanno fatto una figura strutturale tra le più interessanti e nello stesso ambigue, tanto che a volte il progettista si è trovato e si trova, ancor oggi, a dover conciliare aspetti di natura strategica, tecnica ed economica, senza tener conto poi della concezione simbolica del ponte, talvolta inconscia ma
presente in ogni cultura, come tramite verso l'ultraterreno ed il soprannaturale.L'ottica di vedere un semplice e puro ponte su un guado, specialmente per la Basilicata, terra ricca di strutture sconosciute e ancora degne di restauri, può aiutare a comprendere, anche in un'epoca che spinge verso finalità ben precise come l'attuale, come possa essere possibile la valorizzazione di queste opere, specialmente se con risultati contrastanti, producendo talvolta opere deformi in assoluto contrasto con l'ambiente circostante, ed in altri casi invece opere eleganti e raffinate, tappe importanti dell'evoluzione dell'architettura e dell'ingegneria.Con il presente lavoro si è inteso osservare più da vicino un particolare ponte che nel criterio turistico-geografico e storico non è stato mai considerato, ma che ritengo interessante analizzare. Ciò può essere uno spunto per gite e passeggiate, capaci di attrarre un maggior numero di persone, magari inserendolo in un più ampio itinerario. Pur non vantando opere quali il ponte di Avignone o il ponte Vecchio di Firenze, la Basilicata conserva bellissimi esempi di ponti medievali. Opere quali il ponte di Forno di Lemie in Val di Viù, ed il ponte del Diavolo a Lanzo Torinese ed altri in Svizzera bene illustrano lo stato della tecnica raggiunto dai costruttori medievali. Caratteristica comune a questi ed altri ponti dell'epoca è di trovarsi lungo vie di comunicazione di antica tradizione, spesso risalenti alla dominazione romana ed al suo impianto stradale. I manufatti attuali, in molti casi, furono costruiti in corrispondenza di precedenti attraversamenti in legno, con l'intento di rendere più sicuri e duraturi tali passaggi. Ancora oggi la loro localizzazione e la loro struttura denunciano una particolare attenzione nella scelta del punto di attraversamento del corso d'acqua, piuttosto che nella ricerca della linearità del percorso. Confrontati con la maggior parte delle opere romane, i ponti medievali, soprattutto quelli di più tarda costruzione, se talvolta mostrano una minore raffinatezza dell'esecuzione, colpiscono d'altra parte per l'ardita struttura. Tale leggerezza era cercata con un affinamento graduale della struttura, anche a costo di crolli improvvisi, ben lontano dall'eccessiva prudenza dei trattati del romano Vitruvio e del rinascimentale Leon Battista Alberti. La maggior parte dei ponti di questa epoca, e per diversi secoli ancora, è caratterizzata da una struttura a schiena d'asino. A differenza dei ponti veneziani, per cui tale schema era dettato da esigenze di navigazione nei canali, queste opere sono il frutto della convinzione tecnica dell'epoca, secondo cui una struttura di questo tipo sarebbe stata più resistente di un arco a tutto sesto o ribassato con via di corsa rettilinea.Nei pressi di Campomaggiore, all'altezza dello svincolo sulla SS 407 "Basentana", si trova una delle più interessanti, curiose e sconosciute costruzioni medievali di cui la Basilicata sia dotata. Si tratta di un ponte ad una sola luce con arco a pieno centro che da tutti viene conosciuto ed è segnato nelle mappe come "Ponte della Vecchia".Ad esso si arriva dopo aver superato lo svincolo nei pressi del Ponte Balzano; una volta giunti alla cosiddetta zona di espansione industriale di Campomaggiore ed effettuata una salita con l'automobile dopo aver abbandonato quest'ultima, si prosegue lungo uno sterrato verso il fiume Basento, lungo un antichissimo tratturo denominato nel secolo scorso Trono. Per chi effettua questo percorso, l'unico davvero praticabile e, comunque, da inserire in un itinerario turistico, la costruzione appare monumentale ed ardita, se si pensa che subito al di sotto scorre impetuoso il fiume che, almeno in questo tratto, appare a volte dolce nel suo corso, ma molto profondo. Probabilmente è questa situazione piuttosto pericolosa che ha indotto gli abitanti di Pietrapertosa e Campomaggiore a denominare il ponte come Ponte della Vecchia. Si narra, infatti, che molti secoli fa una signora del luogo, feudataria di Policoro, avesse perso uno o due figli proprio in quell'attraversamento e che quindi avesse costruito il ponte in onore di essi; un'altra tradizione la rimanda alla presenza e al passaggio di Annibale: se quest'ultima storia è da escludere, è necessario supporre che il ponte ed il suo guado furono sempre oggetto di passaggi importanti per la comunicazione fra i vari centri delle Dolomiti Lucane e della Media Valle del Basento.La storia è piuttosto singolare: come mai una leggenda dedicata ad una fantomatica signora feudataria di Policoro? Probabilmente le ipotesi più attendibili sono due: la prima è che il ponte, per le caratteristiche magico-religiose che ha sempre rappresentato nell'Antichità e nel Medioevo, era un luogo "sacro"; ed in effetti di sacro in questi luoghi erano proprio le magiàre o masciare, cioè le anziane donne che con pratiche pagane guarivano o davano il malocchio. Di qui la derivazione, forse, di ponte vecchio in ponte della Vecchia.Una seconda ipotesi, molto suggestiva a dire il vero, è che un lontanissimo riferimento lo ritroviamo nelle fonti scritte. Sappiamo che in Basilicata vi era già il Ponte di Santa Venere, e che l'imperatore Federico II provvide alla sua riparazione, come risulta da un atto del 1250 quando stabilisce che tutte le proprietà presenti presso il Ponte di San Nicola dell'Ofanto e tutte le rendite provenienti da esse fossero adibiti "ad reparacionem et consummacionem pontis ibi constructi vel construendi". Un altro ponte viene nominato, però, già nel 1118, e si riferisce ad Albereda, signora di Colobraro e - combinazione - Policoro, vedova di Ruggero di Pomerada e moglie di Riccardo Senescallo, che concede alla Trinità di Venosa un ponte sul fiume Agri che aveva fatto costruire il marito. Ecco presente, dunque, una donna, il che significa che anche alla figura femminile, sebbene subalterna, si concedono alcune prerogative piuttosto importanti come la realizzazione o il restauro di un ponte.Per chi prosegue sulla Basentana da Matera a Potenza, il ponte presenta le sue caratteristiche fondamentali, ovvero un ponte con arco a tutto sesto che, per prospettiva, sembra essere leggermente ribassato, i cui parapetti e pavimento si presentano a schiena d'asino, particolari del vicino Ponte romano di Potenza (distanza circa 32 km, ciò significa che questo ponte è più medievale che romano) e del ponte sulla fiumara di Rendina nei pressi della stazione FS di Rapolla, all'altezza del bivio per Venosa. Il ponte è a campata unica, con luce di circa 12 m, ed un'altezza massima sull'acqua di circa 15,8 m. Le spalle sono imponenti ma, a differenza di altri esempi coevi, non appare evidente l'esistenza in esse di locali, da cui si potesse sparare attraverso feritoie, a difesa del ponte stesso. Confronti lontani, ma molto stringenti, si hanno con il Ponte della Maddalena, o del Diavolo, sul fiume Sarchio, riferibile al XIV sec., che presenta una luce a tutto sesto centrale (diametro 45 metri), ed altre minori, con schiena d'asino soprastante, e il Ponte sul Treia presso Civita Castellana. La larghezza totale del ponte è di 4,10m, mentre la carreggiata è di 3,61. Il percorso si snoda sino a raggiungere la parte più alta, che separa la strada in due settori: quello di Campomaggiore lungo 26,30, quello di Pietrapertosa 46,30, cui si aggiunge un'altra spalla seriore di 14 metri per un totale di 86,6 m circa. Ad esclusione del pavimento e del parapetto tutta la costruzione è ottenuta con blocchi mediamente squadrati di calcarenite ed arenaria, subarrotondati piatti, poggianti su letti di posa suborizzontali ed orizzontali, a volte raddoppiati, attualmente quasi privi di stilatura dei giunti; probabilmente questa considerazione perviene dalla presenza di un'abbondante quantità di malta, dove gli elementi, di qualsiasi forma, venivano accuratamente costipati forse con delle casseforme (di cui non è rimasta alcuna traccia) per contenere i paramenti la cui presa non era ancora ultimata. Per la messa in opera dei blocchi veniva impiegata una malta composta soprattutto da calce, sabbia (frequenza degli inclusi ad esame macroscopico: circa 2-3 parti) ed acqua; il legante, quindi, era meno "bagnato" nella misura minima del 12-15% rispetto a quella utilizzata per i pilastri poiché meno soggetto alla ventilazione. L'inserimento di calcari nella miscela, in schegge anche piuttosto grandi, permetteva di procedere in altezza consentendo il lento e progressivo assestamento ed un'omogenea distribuzione delle spinte che, come si è accennato, venivano forzate con l'uso di casseformi. Via via che si procede in altezza si nota l'assenza di questo tipo di tecnica; si lasciava a risparmio qualche foro per travicello quadrangolare dove, eventualmente, inserire i pali per effettuare un restauro. La forma e le dimensioni delle spalle fanno pensare che i costruttori abbiano prima realizzato le due solide estremità, protese mediante due specie di mensole verso il centro del fiume, e quindi tra esse abbiano teso l'arco centrale. Tale procedimento spiegherebbe l'assenza di simmetria e l'andamento non curvilineo del fianco più lungo, quello a destra del Basento. Elemento non accessorio appare il parapetto, che certamente è di costruzione recente, fra la I e la II Guerra Mondiale, che collabora con il seppur esile arco a creare una sezione dalla notevole rigidità strutturale, talvolta pericolosa. In effetti il Ponte della Vecchia non possedeva in origine il parapetto. Tale soluzione si ritrova anche in altri ponti coevi, quale ad esempio il ponte di Forno di Lemie (ricostruito nel 1477). Scartata la soluzione a più archi, dato il notevole dislivello, il ponte fu costruito, come si è detto, con lati fortemente disuguali per poter attestare pila e spalle sugli speroni del greto: il versante appartenente a Campomaggiore misura 26,8 m, quello appartenente a Pietrapertosa 46,8 m. Da ammirare, comunque, l'armonia complessiva dell'opera, frutto dello spirito e della tecnica medievale, che hanno saputo materializzarsi in questo ed in altri ponti con la stessa bellezza, anche se in forme architettoniche diverse, delle più famose cattedrali. Il ponte può considerarsi un esempio dell'evoluzione della tipologia di tali manufatti dall'epoca gotica a quella rinascimentale della Basilicata. Tipicamente gotica appare l'originale struttura del calpestio, anche se rifatto da interventi ottocenteschi e della metà del XX secolo, come i rinforzi in calcestruzzo nella parte settentrionale, ma l'essenzialità della struttura era ricercata anche a costo di ripetuti crolli del cantiere, da cui non fu esente neppure questo ponte, stando a quanto si può notare nelle murature.Di influsso già rinascimentale è invece il ritorno all'arco a tutto sesto, che ritroveremo anche nelle fortezze e dimore baronali come il castello di Laurenzana, per cui appare corretto intendere tali elementi come frutto unitario di una progettazione cosciente e teoricamente fondata: con una tale sovrastruttura l'arco a sesto acuto non sarebbe stato sfruttato appieno. Infatti, a parità di struttura resistente, l'arco acuto può sopportare carichi in chiave maggiori dell'arco a tutto sesto, carichi che entro certi limiti concorrono alla stabilità dell'opera stessa, aumentando la coesione tra gli elementi dell'arco. Tali carichi devono però agire quanto più possibile sulla chiave dell'arco. Non così avviene per il ponte di Forno, per il quale è stata quindi correttamente scelta una struttura a tutto sesto. La parte superiore presenta, come si è detto, parapetti in calcestruzzo, certamente realizzati negli anni relativi alla costruzione della cisterna dell'acquedotto, che ha reso quasi indecifrabile la fisionomia originaria del ponte. Lungo il percorso, infatti, è nascosto un tubo tramite lastre calcaree in direzione di Pietrapertosa, che poi si immerge nel terreno per comparire a debita distanza. Anche la parete dove si appoggia il ponte, a ridosso del percorso ferroviario, presenta medesime caratteristiche, evidenziate dalla presenza di fori per travicelli alla stessa altezza, preceduti da quattro corsi orizzontali di pietre squadrate e lievemente bugnate. L'arcata interna non presenta tracce di una centinatura, se si escludono tre grandi fori quadrangolari all'altezza dell'imposta, che fanno supporre una centinatura aerea.Eccezionale ed inedita è la scoperta relativa alla datazione del Ponte, che si ricava sull'archivolto meridionale: precisamente nell'undicesimo concio è ravvisabile l'incisione "mCCCCVII", che coincide grosso modo con la datazione dei ponti citati; nel nono concio, inoltre, è scolpita a bassorilievo una rosetta che troveremo spesso in finestre e sculture cinque-seicentesche di Basilicata e Puglia. Credo, a questo punto, che il Ponte della Vecchia si configura come l'unico, vero ponte medievale con incisa una data, il che non deve far preoccupare lo studioso: l'area dove insiste la costruzione ha dato i natali a Jacopo da Trifoglio (antico casale di Pietrapertosa), che nel castello di Uggiano presso Ferrandina ci ha lasciato un'iscrizione del 1350 dove ricordava il restauro delle mura.La pavimentazione del Ponte che rientra nel comune di Campomaggiore è la più degradata, in quanto su di essa si è formata una coltre di terra e fango che proviene da un canale di deiezione di acque bianche provenienti dal pianoro soprastante.Le lastre di questo settore sono più grandi, come misura, rispetto a quelle appartenenti al comune di Pietrapertosa, e formano una linea centrale affiancata da una serie di lastre giustapposte con regolarità costante, ma non in maniera simmetrica. Le lastre appartenenti a Pietrapertosa sembrano essere più antiche, poiché di pezzatura più antica e, certamente più degradate rispetto alle altre, oltre ad essere disposte in maniera alternata.Il punto in cui si presenta la fanghiglia presenta una piccola depressione dovuta all'infossamento dello stesso riempimento del fianco nord del ponte, fatto che indica una situazione pericolosa per la staticità del piano di calpestio.Si è detto che questo settore appartenente al Comune di Pietrapertosa è certamente il più conservato nella pavimentazione, ma non nel fianco che dirige verso sud-est, in direzione di Metaponto. In esso sono presenti contrafforti ed archi di scarico che appaiono realizzati in epoche diverse e, comunque, con diverse tecniche, anche se non sono del tutto differenti.I contrafforti rappresentano un evento costruttivo importante per il Ponte della Vecchia. Essi sono distribuiti solo nel settore meridionale appartenente al Comune di Pietrapertosa, nel prospetto che si affaccia verso Metaponto, probabilmente perché più interessato a contrastare la forza cinetica del Basento. Si tratta, per lo più, di quattro pilastri quadrangolari, addossati a diverse distanze, certamente seriori al ponte e con un "modulo" leggermente inferiore alla costruzione originaria. Anche la malta è differente da quest'ultima e risulta più porosa e meno compatta. grossi blocchi sono disposti su file orizzontali, alla rinfusa e con diversi spessori ottenuti con ciottoli di fiume, non seguendo la regola dell'alternanza; sembra pertanto probabile che alcuni pilastri furono realizzati in tutta fretta, in un periodo non molto distante dall'epoca di costruzione vera a propria.Sono presenti, inoltre, diversi rifacimenti seriori. Sappiamo che in numerosi punti del suo corso, il fiume Basento ha sempre destato pericoli in base al suo regime, che lungo alcune anse si presenta abbastanza impetuoso. Prima che fosse costruita la Diga del Camastra, inoltre, la portata dell'acqua era certamente maggiore, ed ancora oggi gli abitanti della zona ricordano come in alcuni periodi il vicino Ponte Balzano (costruzione ottocentesca che congiunge Castelmezzano e Pietrapertosa a Campomaggiore) veniva totalmente sommerso dalle acque.Nell'Archivio di Stato di Potenza è stata rintracciata una breve ed interessante documentazione relativa al restauro del ponte agli inizi degli anni Ottanta del XIX sec. Il 23 febbraio 1879 la Deliberazione della Giunta Municipale di Pietrapertosa, spedita alla prefettura di Potenza, così recitava: "minacciando rovina il Ponte sul Basento, detto della Vecchia, tanto necessario al traffico di molti comuni, essendo stato in gran parte distrutto dalle piene l'unica via per accedervi, denominata Trono...il ponte...messo fra i tenimenti di Pietrapertosa e Campomaggiore, non pure serve al traffico de' comun vicini, ma benanche a molti discosti, come Stigliano, Cirigliano, Gorgoglione, Corleto Perticara, Guardia, Armento, Laurenzana ed altri, e che perciò deve ritenersi d'interesse Provinciale, anziché locale. Considerando che le occorrenti riparazioni al Ponte stesso sono reclamate con la massima urgenza, sia per non vedere mancato un mezzo assolutamente indispensabile al traffico, che per la conservazione di un'opera grandiosa e forse monumentale". La costruzione del Ponte della Vecchia, quindi, fu dettata certamente da questa esigenza. Oggi appare inverosimile che fosse necessaria la realizzazione di un ponte così ardito per un fiume attualmente dal facile guado, che un tempo serviva numerosi comuni legati dalla tradizione della transumanza e del commercio.A dimostrarlo non è solo l'altezza notevole tra il piano di campagna e il livello del fiume, ma anche la costruzione di un muro di contenimento sul versante meridionale dell'alveo. Permetteva il passaggio, in quel punto, di bestiame e uomini nei pressi di una parete instabile e franosa, proprio quella appartenente al Comune di Pietrapertosa. Ora, è difficile affermare che questo muro sia contemporaneo al ponte, ma si può ragionevolmente affermare che in queste contrade le tecniche costruttive, in situazioni differenti, presentano medesime caratteristiche.In sostanza, se oggi ammiriamo ed abbiamo trovato tante notizie su un ponte inedito come il Ponte della Vecchia, dobbiamo molto ai restauri reclamati dal Comune di Pietrapertosa più di cento anni fa. E se già allora il Ponte era "un'opera grandiosa e forse monumentale", tanto da essere risparmiato dal percorso della statale "Basentana", merita di essere conosciuto, fruito e restaurato con urgenza per non piangere ancora la povertà della Basilicata.
BIBLIOGRAFIA CRITICAQuesto lavoro, che dedico a Gina, Serena, Mario Hermàn e Mario Caprara, è inedito. Studi di ponti, in Basilicata, non esistono e bisogna rifarsi al Piemonte. Cfr. C. Ratti, Da Torino a Lanzo e per le Valli della Stura, Torino 1883; G. Milone - P. Milone, Notizie delle Valli di Lanzo, Torino 1911; A. Cavallari Murat, Lungo la Stura di Lanzo, Torino 1973; AA.VV., I ponti delle Valli di Lanzo, Torino 1978; S. Lombardi, Il Piemonte antico e moderno delineato e descritto da Clemente Rovere. Composizione e studio critico, Torino 1978. Su altri ed originali ponti cfr. G. Coppola, Ponti medievali in legno, Roma-Bari 1994, e Id., La costruzione nel Medioevo, Avellino 1999. La notizia del restauro al Ponte della Vecchia è in Archivio di Stato di Potenza, Prefettura, Atti Amministrativi (1878-1882), fasc. 447 n. 3388.
Testo di Pierfrancesco Rescio tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 2000