18 set 2017

Un lucano, la P38 e la storia iconografica della lotta armata in Italia

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E' da tempo che ho in mente questa foto, una foto che diventata icona della lotta armata degli anni di piombo.

Milano, via De Amicis 14 maggio 1977: un uomo in passamontagna punta una pistola contro la polizia durante una manifestazione di protesta; foto di Paolo Pedrizzetti.
Quest'immagine è diventata l'icona degli anni di piombo. (fonte Wikipedia)

Da tempo sto facendo ricerche sui fatti e i personaggi delle rivoluzioni, ribellismi e resistenze in terra di Basilicata.
E tra emeroteche, bibliografie, internet, chiacchierate scopro incontro note, vedi quella di di don Marco Bisceglia, fondatore dell'Arcigay e difeso dai suoi parrocchiani a Lavello, e meno note come la prima repubblica partigiana d'Italia che si crea nel Vulture, in terra lucana,
Tra queste storie spuntano anche personaggi interessanti,  oggetto di cronache fuori dalla  loro terra natia.
E' il caso del Re del Kalashikov, lucano trapiantato a Torino, ed è il caso del ragazzo in foto con il passamontagna e con una pistola che immortalato da una foto di Paolo Pedrizzetti , diventa nel bene e nel male,  immagine di un periodo.
Il ragazzo, Giuseppe Memeo è un lucano, anche lui finito al nord. E' detto il Terun,  E' di un paese della provincia di Potenza, Palazzo San Gervasio.
"Militante di Autonomia Operaia, entrò nei Proletari Armati per il Comunismo (PAC), organizzazione terroristica di estrema sinistra costituitasi in Lombardia, tramite il gruppo dei sardi e Sebastiano Masala, divenendone uno dei principali esponenti. Guadagnò notorietà durante una manifestazione di protesta, degenerata in scontro armato, in via De Amicis a Milano, avvenuta il 14 maggio 1977, in cui Memeo fu immortalato in un famoso scatto che lo ritrae mentre puntava una pistola contro le forze dell'ordine: la fotografia diventò un emblema degli anni di piombo[1][2].
Durante la sparatoria rimane ucciso l'agente Antonio Custra[3], la cui morte è, inizialmente, addebitata a Memeo, ma si scopre infine che l'autore dell'omicidio è Mario Ferrandi, un altro componente dei PAC[4]. Il 16 febbraio 1979, assieme a Gabriele Grimaldi e Cesare Battisti, uccide il gioielliere Pierluigi Torregiani, colpevole di aver reagito, il mese precedente, assieme ad altri avventori a due rapinatori che tentarono di rapinare i clienti del ristorante Il Transatlantico, dove Torregiani si era recato a cenare assieme ad amici e parenti dopo una promozione di gioielli presso una TV privata, provocando la morte di uno dei delinquenti; nella sparatoria morirono anche un commerciante di Catania, avventore del ristorante[5]. I PAC accusano il gioielliere di essere un «agente del capitalismo sul territorio»[6] ed esprimono, nelle loro rivendicazioni, solidarietà per la piccola malavita, la quale «con le rapine porta avanti il bisogno di giusta riappropriazione del reddito e di rifiuto del lavoro»[7].
Memeo viene arrestato il 9 luglio 1979 nell'abitazione di Maria Pia Ferrari, convivente di un altro militante dei PAC: Germano Fontana. Il giudice Pietro Forno lo considera «una personalità estroversa e con una certa dose di esibizionismo» mentre il pentito Enrico Pasini Gatti, un ex collaboratore non interno ai PAC, lo definisce «un pazzo sanguinario».[8] Condannato a 30 anni di reclusione per duplice omicidio e sette rapine, durante la detenzione inizia a prendere le distanze dalla lotta armata. Attualmente Memeo lavora in campo sociale per l'associazione "Poiesis" di Milano, il centro della fondazione Exodus per la cura dell'AIDS, ed è stato vicepresidente della cooperativa sociale "Il Fontanile"." (fonte Wikipedia)

Ecco la cronaca di quella giornata ripreso dal un blog (www.favacarpendiem.wordpress.com):

Milano, 12 maggio 1977; mentre a Roma le forze speciali infiltrate di Kossiga sparano ai manifestanti di Piazza Navona e uccidono Giorgiana Masi, il sostituto procuratore della Repupplica Luigi De Liguori ordina l’arresto di alcune persone, tra le quali due noti avvocati di Soccorso Rosso, Giovanni (Nanni) Cappelli e Sergio Spazzali. L’imputazione più grave nei loro confronti è quella di promozione di associazione sovversiva. I gruppi della sinistra extraparlamentare e i collettivi dell’area dell’autonomia indicono per il pomeriggio del 14 maggio una manifestazione contro la repressione.
 La mattina del 14 maggio i quattro referenti dei servizi d’ordine delle diverse anime dell’Autonomia milanese si riuniscono alla Statale per valutare le azioni di piazza. Ci sono Pietro Mancini (Piero), Raffaele Ventura (Coz) e Maurizio Gibertini (Gibo) per il gruppo che si riuniva intorno alla rivista “Rosso”, Oreste Scalzone per i gruppi vicini a Potere Operaio, Andrea Bellini per il “Casoretto” e infine una delegazione del partito marxista-leninista. Si decide per un corteo duro, che ad un certo punto si stacchi dai gruppi della sinistra extraparlamentare (Democrazia Proletaria in testa) per proseguire intorno al carcere di San Vittore e portare la solidarietà agli avvocati arrestati due giorni prima. Un corteo “duro”, questo si, ma che non preordina in alcun modo uno scontro a fuoco con la polizia, né alcuna altra provocazione. Niente molotov, né spranghe, né fionde e neanche sassi, niente di niente. Ai primi disordini si abbandona il corteo, l’accordo è questo.
La sera prima però, anche la componente armata del collettivo Romana-Vittoria, composta da Marco Barbone, Enrico Pasini Gatti, Giuseppe Memeo, Marco Ferrandi, Luca Colombo e Giancarlo De Silvestri si riunisce per definire il piano per la manifestazione del giorno successivo. Bisogna provocare la polizia nei pressi di San Vittore, sciogliere il corteo per poi ricomporlo nella zona di Porta Genova, da presidiare militarmente il più a lungo possibile. Il Romana-Vittoria aprirà il corteo.
Il corteo parte alle 16,45 da piazza Santo Stefano, i partecipanti sono più di 10.000. All’incrocio via San Vittore-Via Olona lo spezzone dell’autonomia, composto da circa 1000 manifestanti, abbandona il troncone principale come previsto. Cominciano subito gli slogan: “Da San Vittore all’Ucciardone, un solo grido: evasione”, “Carabiniere, sbirro maledetto, te l’accendiamo noi la fiamma sul berretto”.
Ad un certo punto la colonna di polizia (fino a quel momento tenutasi molto distante dal corteo) del III° reparto Celere si schiera in assetto di ordine pubblico (un cordone di scudi e un secondo con i lancia-lacrimogeni) all’angolo tra via Olona e via De Amicis. Dopo un breve consulto, la squadra armata di Romana-Vittoria decide per l’attacco, e forza facilmente i cordoni di contenimento capeggiati da Bellini e Scalzone, accortisi di quanto stava per accadere.
S’alza un grido secco: “Romana fuori!” seguito da un successivo: “Sparare!”. Nel giro di un solo minuto Ferrandi, Memeo, Barbone, Pasini Gatti, De Silvestri e Colombo, accostati da alcuni studenti del Cattaneo armati di molotov, dal collettivo di Viale Puglie e dal collettivo Barona ingaggiano un violento scontro a fuoco con le forze dell’ordine, durante il quale rimane ferito a morte il vicebrigadiere Custra. Altri due agenti vengono lievemente feriti, mentre un passante, Marzio Golinelli, perde un occhio e un’altra passante, Patrizia Roveri, viene ferita in maniera non grave al capo.
Via De Amicis è oscurata dal fumo dei lacrimogeni, delle molotov e della carcassa del filobus 96 dato alle fiamme. Tutti coloro che si erano inoltrati nella strada raggiungono di corsa via Carducci dove alcuni manifestanti stanno improvvisando una barricata con del materiale edile di un cantiere.
La sera del 14 nell’abitazione di Colombo si riuniscono alcuni dirigenti di Rosso a confronto con Ferrandi, Barbone, Memeo, Pasini Gatti, Colombo e De Silvestri. La notizia che l’agente Custra è clinicamente morto è stata diffusa radiogiornali e dai telegiornali. I dirigenti di Rosso si rendono disponibili a fornire soldi e documenti falsi per il prudenziale allontanamento di Pasini Gatti, Ferrandi e di tre studenti del Cattaneo. Ne nasce poi un violento diverbio tra Mancini, molto critico rispetto all’azione della Romana-Vittoria, e Alunni, che invece ne prende la difesa. In seguito a questo e ad altri personali contrasti, nel mese di luglio Alunni, Marocco, Ricciardi, Barbone, Colombo, De Silvestri daranno vita, con altri e altre militanti, alle Formazioni Comuniste Combattenti. In seguito, Ferrandi aderirà a Prima Linea; Memeo ai Proletari armati per il comunismo; Pasini Gatti alla Brigata Antonio Lo Muscio.

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