11 gen 2019

Geografia dello spirito in Basilicata. Terra di santi, Madonne e Santuari.

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La terra di Basilicata è spesso legata alla magia, sopratutto dopo i "viaggi" e le "permanenze" di De Martino, Carpitella, Di Gianni e altri "cercatori di umanità perse".
Un luogo in cui la spiritualità è presente da sempre in svariate declinazioni, di influenza esterna e anche  autonome. 
Nelle varie comunità, la spiritualità prende forme e atteggiamenti  diversi ma con un unico comune denominatore: è l'unica forza  a cui gli uomini potevano rivolgersi, anche in modo
circoscritto, amplificata da un territorio che si presta al rapporto malevole tra uomo e natura.


Riprendo un articolo sui santuari in Basilicata apparso su Consiglio Informa, a cura di Valeria Verrastro.

Sin dai secoli più antichi l’intenso sentimento religioso delle popolazioni lucane è testimoniato dai resti di una fitta rete di templi, edicole, fonti e boschi sacri.  Analogamente, nell’epoca medievale e moderna, il territorio dell’attuale Basilicata appare caratterizzato da una netta distinzione fra spazi sacri e profani, fra luoghi gestiti dall’autorità terrena e luoghi creati da una speciale manifestazione della divinità . 
Una geografia sacra, quella lucana, caratterizzata da un’elevata densità di piccoli centri di pellegrinaggio a raggio d’attrazione limitato a pochi paesi , e percorsa dal frequente sorgere di nuovi santuari e dal contemporaneo abbandono di quelli più antichi. 
La presente ricerca si concentra su quei luoghi che,almeno per un certo tempo, furono considerati sacri in seguito ad una particolare epifania del divino, e che per questo motivo divennero meta di più o meno numerosi pellegrinaggi . 
L’attenzione, però, non è focalizzata solo su quelli più rinomati e conosciuti dalle curie, bensì anche su quei piccoli santuarietti locali che, sopravvissuti talvolta a mala pena, appaiono tuttavia «significativi, come portatori di un messaggio dal profondo dei tempi.» 
Il discorso non può non trarre il suo punto d’avvio dalla considerazione di un forte legame di continuità fra la nascita dei nuovi centri di culto cristiano e la preesistente rete di santuari pagani. 
Una continuità che è testimoniata non solo dai più evidenti casi di travaso di culto e di cristianizzazione, ma anche dal perpetuarsi di una certa “cultura del sacro” che continuò ad esprimersi secondo canoni abbastanza identificabili. Si pensi, ad esempio, alla scelta di determinati ambienti naturali caratterizzati quasi sempre dalla presenza di monti, boschi, sorgenti, rocce e grotte. Si pensi alla iconografia ricorrente delle divinità femminili, raffigurate, analogamente a quanto avverrà più tardi per le statue mariane, come regine sedute in trono e madri, con pomi nella mano sinistra in atteggiamento di offerta. 
Fra i casi di evidente travaso di culto va citato, in primis, il santuario della Madonna di Rossano a Vaglio di Basilicata, situato a monte della grande sorgente che alimentava il santuario della dea Mefitis, localizzato a valle della stessa fontana . Sul luogo dell’attuale chiesa di S. Maria d’Anglona sorgeva invece il santuario campestre di Demetra e Artemide Bendis8 , mentre il santuario di S. Maria di Banzi, con l’adiacente abbazia benedettina, venne ad occupare un’area sacra annessa all’abitato osco-romano, dove sono stati rintracciati i resti di un tempio augurale9 . Nelle vicinanze del santuario di S. Michele a Monticchio, presso le sorgenti di S. Maria di Luco e in prossimità di una grotta ubicata sotto l’abbazia, sono venuti alla luce reperti che farebbero pensare ad antichi culti alle acque salutifere10. Di grande evidenza è, ancora, l’esempio del santuario della Madonna Grumentina sorto nei pressi dell’area archeologica dell’antica città romana di Grumentum, dove era stato vivo il culto verso una divinità femminile, probabilmente anch’essa identificabile con la dea Mefitis11. Più controverso è il caso di S. Maria di Picciano: alcuni studiosi hanno formulato l’ipotesi, in verità non fondata su elementi attendibili, della presenza sul colle di un santuario pagano in stretto rapporto con quello di Timmari12. Sui siti di altri santuari le indagini archeologiche hanno invece portato all’individuazione di insediamenti umani. Segni di cinte fortificate indigene sono stati rintracciati sulla collina del santuario della Madonna del Vetere di Moliterno13, tracce di insediamenti sono state riscontrate nelle zone del santuario della Madonna della Stella ad Aliano, della Madonna delle Serre a Roccanova e di S. Maria d’Irsi14. Una notevole sepoltura femminile è venuta alla luce nell’area del santuario della Madonna della Stella a Castelluccio Inferiore15, mentre a Muro Lucano, nei pressi del santuario di S. Maria di Capodigiano, l’intensa frequentazione romana sarebbe confermata, tra l’altro, dall’ara cilindrica funeraria posta davanti alla facciata della chiesa medioevale16. Senz’altro, dunque, sulla nascita dei santuari cristiani dovette influire il perpetuarsi della sacralità di determinati spazi e la probabile volontà, da parte della gerarchia ecclesiastica, di reinterpretarne in chiave cristiana i contenuti e i riti. Così, il culto delle acque che aveva contraddistinto il santuario di Grumentum si perpetuò nel santuario mariano17; analogamente a S. Michele di Monticchio si perpetuarono diversi riti collegati alla fertilità18; a S. Maria di Picciano la continuità di culto, secondo alcuni studiosi, avrebbe lasciato segni evidenti nel simulacro venerato19. Ma l’evidente rapporto fra gli antichi luoghi di culto pagano e i nuovi santuari cristiani risolve solo in parte il problema dell’origine di quest’ultimi. Bisogna tenere presente infatti che fra culto cristiano e culto pagano permangono spesso hiatus di secoli20: è chiaro allora che sulla nascita dei santuari cristiani dovettero incidere anche più tardi influssi culturali. Gran parte ebbe certamente il fenomeno monastico. A S. Maria di Banzi la comunità benedettina maschile fu sottomessa all’abbazia di Montecassino già nel 797-98 o, al più tardi, nell’815-1621. A S. Michele di Monticchio il monastero è attestato con sicurezza in un diploma rilasciato dall’imperatore Ottone II nel 98222. La chiesa di S. Maria del Casale di Pisticci, insieme all’attiguo monastero benedettino, è citata già in documenti dell’XI secolo23. A Picciano la comunità benedettina, attestata per la prima volta in un documento dell’agosto del 1219, risale almeno al secolo precedente24. Nello stesso territorio di Matera, una comunità benedettina doveva sicuramente essere presente già in epoca medioevale accanto alla chiesa ipogea di S. Maria della Valle25. Nel territorio di Venosa si collocano altri due importanti insediamenti monastici collegati a luoghi di culto: quelli della Ss. Trinità, che risale con tutta probabilità al sec. XI e fu benedettino maschile26, e di S. Maria di Monte Albo, documentato già nel XII secolo e dove dimorarono monache dello stesso Ordine27. Nei pressi di Francavilla in Sinni, ancora, l’insediamento dei monaci cistercensi di S. Maria del Sagittario, attestato a partire dai primi anni del sec. XIII, secondo alcuni autori sarebbe già documentato nei due secoli precedenti. In numerosi casi il legame con l’esperienza monastica appare più indiretto: alcuni santuari, infatti, furono dipendenze di monasteri della regione o di fuori regione. Quello della Madonna del Pantano nei pressi di Pignola fu dipendenza del monastero benedettino di S. Maria di Positano29, mentre la chiesa di S. Maria della Gloriosa di Montemilone appare citata già in documenti dell’XI secolo quale dipendenza dell’abbazia di Banzi30. A quest’ultima apparteneva anche la chiesa di S. Maria de Sala nel bosco di Francavilla presso Palazzo San Gervasio, identificabile con l’attuale santuario mariano della Madonna di Francavilla31. Da S. Maria di Pierno dipendeva la chiesa di S. Maria di Capodigiano a Muro Lucano, fondata nei secoli XII-XIII su una preesistente chiesetta rurale32. All’ambito verginiano deve essere ricondotto con molta probabilità anche il santuario di S. Maria di Fondi nei pressi di Tricarico, quasi certamente dipendenza dell’abbazia di Montevergine già nel XIII secolo33. Dipendenze benedettine furono anche i santuari della Madonna del Belvedere a Oppido Lucano, di S. Maria d’Irsi, della Madonna del Pergamo nei pressi di Gorgoglione, di S. Maria del Principio di Lavello e di S. Donato di Ripacandida34. Due casi particolari sono costituiti dai santuari di S. Maria di Pierno35 e di S. Angelo al Raparo36, dove la santità dei monaci che vi dimorarono in eremitaggio, rispettivamente san Guglielmo da Vercelli e san Vitale da Castronuovo, dovette fortemente influire nel far divenire quei luoghi mete di continui pellegrinaggi. In molti casi i benedettini occuparono luoghi in precedenza abitati da monaci italo-greci. È indubbio infatti che quest’ultimi avevano svolto nella regione un ruolo di primaria importanza nella promozione della vita spirituale, sollecitata attraverso un’evangelizzazione di grande efficacia delle plebi contadine, attraverso una vita religiosa marcatamente corale, tendente a oltrepassare i chiusi confini del monastero per raggiungere la comunità esterna e per attirarla, attraverso la parola, verso elevati contenuti spirituali.37 Un dato molto importante è costituito dalla chiara prevalenza della devozione mariana che, se può essere in parte spiegabile con la preesistenza di culti verso dee pagane o col bisogno dei laici di garantirsi un rapporto con la divinità libero dai condizionamenti del potere38, non può non rimandare all’influsso esercitato dalla spiritualità orientale. Quest’ultima si era venuta caratterizzando, appunto, anche per l’intensa devozione mariana e per la venerazione delle icone, considerate veri e propri sacramentali. Culto delle icone che, come lasciano pensare molti indizi39, nei secoli medievali in Basilicata dovette essere assai diffuso e probabilmente all’origine di molti santuari. Le icone, nel corso dei secoli, furono verosimilmente sostituite da nuove copie, o, più spesso, da raffigurazioni scultoree40, in qualche caso da più modesti dipinti. Il quadro attualmente venerato a S. Maria del Principio di Lavello, ad esempio, avrebbe preso il posto di un’antica icona su tavola, ritenuta assai miracolosa41. Il ricordo di antiche icone un tempo venerate e successivamente sostituite da raffigurazioni scultoree si conserva in altri santuari42. Alcuni indizi lasciano inoltre pensare alla comunità di S. Maria come ad un attivo centro di produzione iconografica43. Purtroppo, né le fonti documentarie né quelle iconografiche sono sufficienti a fondare con sicurezza queste ipotesi. Al contrario, la tradizione orale popolare è ricca di riferimenti all’esperienza spirituale orientale: il tema del simulacro venerato da monaci “basiliani” e da questi nascosto per sfuggire alla lotta iconoclasta ricorre nelle leggende di fondazione di quasi tutti i santuari mariani più antichi. Talora, però, i riferimenti a preesistenti laure di monaci italogreci non sono privi, come nel caso di S. Maria della Gloriosa a Montemilone, di riscontri piuttosto degni di interesse nella toponomastica locale44. In ogni caso, la tendenza degli ordini monastici e religiosi ad insediarsi in luoghi già ricchi di una tradizione spirituale è confermata in Basilicata dalle scelte che faranno successivamente i francescani e gli altri ordini religiosi45. Una piccola comunità di carmelitani, ad esempio, si sarebbe insediata per un certo periodo accanto alla Madonna della Gloriosa di Montemilone46. Nei santuari lucani medievali il culto verso simulacri mariani rimane comunque assolutamente prevalente rispetto a diversi oggetti di devozione. Meno consistente ma nient’affatto trascurabile il numero dei santuari micaelici sinora accertati47, diffusisi prevalentemente nei territori della Basilicata occidentale sottoposti alla dominazione longobarda48. Una menzione particolare merita il santuario di Pignola, situato nei pressi di una sorgente un tempo ritenuta miracolosa per le febbri49. Si dubita ancora quale sia stato l’uso della grotta localizzata a Maratea sul versante meridionale del Monte S. Biagio50. In pochi casi la devozione fu orientata verso reliquie di santi e martiri. Alla Ss. Trinità di Venosa già nel 1124, come si specifica in una carta di donazione, nel santuario riposavano multa corpora sanctorum, fra i quali di un particolare culto godevano quelli dei martiri Senatore, Viatore, Cassiodoro e Nominata. Secondo la seicentesca Cronaca venosina di Giacomo Cenna, l’abate del cenobio benedettino, Ingelberto, avrebbe mandato a papa Leone IX una relazione circa il loro ritrovamento, ed in seguito, nel 1055, papa Vittore II avrebbe raccomandato la loro venerazione al clero e al popolo di Venosa e di tutta la Puglia. È indubbio che i quattro martiri godevano a Venosa di una grande devozione, testimoniata tra l’altro dal martirologio del monastero, all’interno del quale i loro nomi furono messi ben in evidenza tramite l’uso di lettere maiuscole51. Il culto verso reliquie di santi è documentato anche nel santuario di S. Biagio di Maratea52. I santuari medievali sono costituiti quasi sempre da edifici monumentali conservanti al loro interno emergenze artistiche di un certo rilievo. Si pensi a S. Maria di Pierno, a S. Maria del Casale di Pisticci, a S. Maria d’Anglona, a tutte le altre chiese che, pur di dimensioni più modeste, furono decorate all’interno da pregevoli dipinti murali, nella maggior parte dei casi databili fra il XII ed il XIV secolo, riproponenti iconografie e stilemi bizantini53. Poche notizie abbiamo circa il tipo di culto che in epoca medioevale si venne sviluppando intorno ai santuari. Certamente essi dovettero esercitare un importante ruolo di aggregazione e di scambio sociale. Ne costituisce una prova la fitta rete viabile sviluppatasi intorno ad essi, creata dai frequenti passaggi dei pellegrini, in alcuni casi giunta pressoché integra sino ai nostri giorni54. Ne costituisce una ulteriore testimonianza la notizia di importanti fiere che si celebravano nei loro pressi nei giorni in cui ricorreva la principale festività e si verificava pertanto la maggior affluenza di pellegrini. La fiera della Ss. Trinità di Venosa fu approvata ufficialmente nel 1313, ma verosimilmente doveva svolgersi già da tempo, mentre la fiera della Madonna della Vaglia di Matera fu istituita col privilegio della regina Giovanna del 1343. Importante e antica era pure la fiera di Anglona di cui si ha notizia già dal XIV secolo55. Leggende più o meno antiche sembrano avvalorare l’ipotesi del ruolo di questi santuari come luoghi di controllo del territorio e di pacificazione sociale. Nella leggenda tramandata sotto il titolo di “Vespro della Valle di Vitalba” si narra, ad esempio, dell’incontro avvenuto nei pressi del santuario di S. Maria di Pierno fra una discendente dei fondatori dello stesso santuario, Altruda di Drogone, e il popolo di San Fele in rivolta contro il fiscalismo dei dominatori angioini56. Per i secoli medievali appare comunque impossibile fornire una mappa completa dei luoghi considerati sacri. In alcuni casi, infatti, quest’ultimi vennero perdendo col tempo la fama di santuari, mentre altri furono santuarietti poverissimi, di cui la tradizione scritta non ci ha trasmesso nemmeno il ricordo. Si trattò spesso di piccole cappelle rurali o di grotte scavate nella roccia, con le pareti segnate da croci graffite, a volte unica testimonianza superstite dell’antico passaggio del pellegrino57. Spesso, pertanto, l’identificazione di antichi santuari rimane dubbia ed ipotizzabile solo in base a pochi indizi. Uno di questi casi è rappresentato dalla chiesa medioevale di S. Maria del Monte nei pressi di Melfi, antica dipendenza dell’abbazia benedettina di S. Michele a Monticchio, alla quale ancora nel XVII secolo papa Urbano VIII concedeva indulgenze58. Anche per S. Maria della Seta di Anzi gli unici indizi sono costituiti da una scultura della Vergine attribuibile ai secoli XIV-XV e dalle notizie fornite da studiosi della seconda metà dell’Ottocento, secondo i quali al santuario «da remote regioni concorrevano i fedeli a sciorre i voti nelle loro traversie, dirigendosi all’Avvocata de’ miseri. E se i forestieri di presente si sono raffreddati in devozione, i cittadini però ne serbano moltissima e ardente.»59 Nei secoli XVI e XVII si assiste ad una forte ripresa del culto mariano, in coincidenza col clima spirituale e culturale determinatosi all’indomani del Concilio di Trento60. In pieno clima controriformista si colloca la nascita, a Saponara, del nuovo culto alla Madonna di Monserrato, di chiara importazione spagnola, la cui festa e cappella furono fondate dall’arciprete Ettore Giliberti nel 158261. Al XVI secolo sembra risalire anche il santuario di S. Maria della Consolazione di Rotonda: da una bolla di Sisto V del 1585 si ricava che gli abitanti di questo centro costruirono il nuovo tempio dedicato alla Madonna del Soccorso in seguito alla liberazione, avvenuta per intercessione della Vergine, da un male epidemico e contagioso62. La bella statua in pietra ivi venerata, del resto, risale appunto al 151263. A Marsiconuovo, nel santuario di S. Maria del Ponte, un’iscrizione situata sul portale della chiesa attesta l’origine del santuario, costruito per iniziativa della popolazione, al 159364. Il santuario materano di S. Maria della Palomba fu costruito alla fine del XVI secolo su una grotta preesistente dove, forse già da tempi antichi, era venerato l’attuale affresco della Vergine col Bambino sul Braccio, attribuito al XIII-XIV secolo65. Il 4 luglio 1579, all’indomani della festa della Visitazione della Vergine, l’immagine avrebbe cominciato ad operare “continui miracoli d’ogni sorta”, guarendo un gran numero di persone da varie malattie, in particolare dall’ernia. Con le elemosine lasciate dai devoti furono scavate le fondamenta di una grande chiesa che l’arcivescovo di Matera dedicò alla Presentazione della Vergine66. Nello stesso secolo si assiste pure al rilancio dei santuari più antichi, per i quali si verifica una sorta di “rifondazione”. Essi vennero ingranditi, abbelliti, e spesso fatti nuovamente oggetto di una leggenda coerente67. Lavori di ristrutturazione e ingrandimento subirono ad esempio i santuari della Madonna di Monteforte di Abriola, di S. Maria della Seta di Anzi e di S. Maria del Principio di Lavello, tutti e tre decorati con i bellissimi affreschi del pittore Giovanni Todisco68. Anche il santuario di Pierno venne ingrandito e fatto oggetto di una nuova sacralizzazione69. Ad importanti lavori di ingrandimento vennero sottoposti pure i santuari della Madonna del Belvedere di Oppido Lucano e della Gloriosa di Montemilone70. Il grande rilancio del culto mariano, iniziato nel XVI secolo, continuò anche nei due secoli successivi. Si ripetono, nelle leggende e nei racconti, i temi della liberazione da gravi calamità naturali o della manifestazione di eventi prodigiosi. Per voto della popolazione locale, certa della protezione accordata dalla Vergine in occasione del terribile terremoto del 1694, sorse il santuario della Madonna del Carmine di Avigliano71. Intorno al 1630 sorse il santuario della Madonna del Sirino: ad iniziativa, pare, di un sacerdote di Lagonegro e con il concorso di pubbliche elargizioni72. Dei fatti prodigiosi verificatisi a Venosa presso una grotta dedicata a S. Lucia, dove in seguito fu costruita la cappella della Vergine delle Grazie ci riferisce, a pochi anni di distanza, l’arcidiacono Giacomo Cenna73. Negli stessi anni ebbe origine il santuario di Genzano, pure dedicato alla Madonna delle Grazie. Si narra che una donna sarebbe apparsa nel 1619 a un giovane che custodiva i suoi buoi, e gli avrebbe detto che se avesse scavato vicino alla fontana di Capo d’Acqua avrebbe trovato la sua immagine: nel nuovo santuario la Vergine dispensò “infiniti miracoli, e grazie”, tanto che non “basteria lingua umana a raccontarlo”74. Ferrandina, chiesa della Madonna dei Mali. Trecce di capelli come ex-voto (Foto Ottavio Chiaradia) — 114 — Del 1650 circa è il santuario della Madonna del Pantano di San Giorgio Lucano: la leggenda di fondazione riferisce del miracoloso ritrovamento della statua avvenuto nel XVI secolo ad opera di alcuni cacciatori, in una grotta che era stata fin da tempi antichi un luogo sacro, poi caduto in oblio, ove la Vergine aveva operato molti prodigi75. Nel marzo del 1739 fatti straordinari si verificarono intorno ad un antico luogo di culto mariano situato nei pressi di Saponara, nella contrada Grumentino: ce ne fa un ampio resoconto uno dei testimoni oculari, lo storico Niccolò Ramaglia. Egli riferisce di una grave epidemia scoppiata nel paese, causa di molte morti. Ma ad una santa monaca del monastero carmelitano di S. Giovanni Battista esistente nel paese la Vergine avrebbe rivelato che, se nell’antica cappella di Grumentino fosse stato ripristinato l’antico culto caduto in oblio, il popolo di Saponara sarebbe stato liberato da quel flagello. Si dette così inizio alla ricostruzione della cappella, e l’epidemia ebbe fine: fra le persone guarite vi sarebbe stata la stessa moglie del Ramaglia76. Il legame fra santuari ed esperienze eremitiche, cui già prima si è fatto cenno con particolare riferimento all’origine dei santuari di S. Angelo al Raparo e di S. Maria di Pierno, continua anche in epoca moderna. Per il santuario della Madonna della Stella di San Costantino Albanese, ad esempio, la tradizione parla di un oblato che vestiva rozzi abiti di lana, che suonava la campana del santuario ogni sera e ogni mattina prima dell’alba per far rientrare gli spiriti vaganti sulla terra e che ospitava chiunque ne avesse bisogno77. Sempre secondo la tradizione un religioso solitario sarebbe vissuto in una grotta sottostante il santuario della Madonna dei Saraceni di Calvello78, mentre all’iniziativa dei due eremiti insediatisi nel XVIII secolo accanto al santuario della Madonna del Pantano in San Giorgio Lucano la tradizione locale fa risalire molti interventi a favore del santuario79. In alcuni casi la presenza di eremiti è attestata da precise fonti storiche: quelli che si insediarono fra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo accanto al santuario di S. Michele di Monticchio non diedero affatto buona prova di sé, tanto da indurre l’università di Melfi a presentare ricorso contro di essi a Roma80. Nel santuario della Madonna della Foresta di Lavello la presenza di eremiti, tra cui anche uno straniero, è documentata sia nel XVII che nel XVIII secolo81. L’apprezzo di Montemilone del 1728 accenna ad un “romita” che in quel tempo abitava nel fabbricato adiacente al santuario di S. Maria della Gloriosa82. Analoghe presenze sono accertate nel 1629 accanto al santuario di S. Maria del Monte di Melfi: gli eremiti, chiamati dal vicario del cardinal Borromeo, si sarebbero dimostrati “molto spirituali e diligenti in riparare detta chiesa”83. L’eremitismo dovette dunque essere un fenomeno piuttosto massiccio che col tempo si venne trasformando in un problema sociale, causando più volte la denuncia dei vescovi lucani. Nelle costituzioni sinodali di Melfi del 1638 ad esso fu dedicato un’intero capitolo, in cui il vescovo Scaglia metteva in guardia contro quei falsi eremiti che, senza la sua approvazione e spinti dall’unico desiderio di evitare il lavoro dei campi, arrivavano numerosi nella regione stabilendosi accanto a chiese e cappelle campestri, vestendo abiti scuri e cingendosi di funi, vivendo delle elemosine dei fedeli e simulando una vita di santità84. Ma la cultura dell’eremitismo dovette sopravvivere ancora a lungo in Basilicata85. Il tipo di devozione che in epoca moderna si venne sviluppando intorno ai santuari conserva, nella maggior parte dei casi, un’impronta marcatamente ascetica e penitenziale. Si pensi ai lunghi pellegrinaggi compiuti a piedi, durante i quali i devoti osservavano un rigoroso digiuno, alla faticosa ascesa ai “sacri monti”, compiuta spesso a piedi scalzi e compiendo una serie di pratiche e di riti che sottolineavano tale aspetto penitenziale. I pellegrini che si recavano a S. Michele di Monticchio, ad esempio, usavano salire ginocchioni per l’antica “scala santa” incavata nel monte. Durante i pellegrinaggi compiuti al santuario di Pierno, invece, si sviluppò il rito purificatorio delle “crocelle”86. Analogo significato assumevano altri riti, come il prelevare ed il deporre pietre su mucchi di sassi formatisi ai piedi di croci di legno, il ritardare l’entrata nel santuario compiendo tre giri intorno ad esso, l’entrare nel luogo di culto in ginocchio, battendosi il petto, piangendo e implorando perdono, spesso persino strisciando la lingua a terra fino all’altare. Per rendere possibile quest’ultimo rito penitenziale alcuni santuari, prevalentemente nella zona del Materano, presentavano il pavimento interrotto al centro da file di mattoni ceramicati che dall’ingresso giungevano sino all’altare maggiore87. Talora le manifestazioni penitenziali erano talmente accentuate da suscitare persino l’allarme delle autorità: in una lettera del 23 novembre 1871 il sottoprefetto di Matera scriveva al prefetto di Potenza sull’atteggiamento dei devoti della Madonna di Picciano, i quali vi si recano per sentimento di devozione, se si vuole mal inteso poicché si vedono a fare il viaggio colla testa scoperta, e coi piedi scalzi ponendo a repentaglio la loro salute, e talvolta anche l’esistenza88. Accanto alla funzione marcatamente penitenziale di molti pellegrinaggi, si venne evidenziando la funzione terapeutica attribuita ad alcuni santuari, talora generica, talora specializzata rispetto a particolari forme patologiche. A Venosa si attribuiva un peculiare valore terapeutico alla polvere di marmo raschiata dal portale della chiesa della Ss. Trinità, i cui motivi ornamentali, pertanto, sono giunti sino a noi alquanto consumati nella parte inferiore. Nello stesso santuario, durante le feste solenni, si mostravano pubblicamente le reliquie dei martiri ivi custodite: in tali occasioni, come ci riferisce il cronista venosino Giacomo Cenna, si vedevano molti miracoli di persone oppresse da infirmità d’occhij risanare, toccandono con loro paternostri detti corpi santi, e dopoi ponersili nell’occhij89. A S. Biagio di Maratea molte guarigioni si ottenevano utilizzando qualche goccia della “santa manna”, il liquido giallastro che miracolosamente scaturiva dai marmi e dalle colonne del trono del santo90. Ad Oppido Lucano, nel santuario della Madonna del Belvedere, era anticamente conservata un’anfora dalla quale zampillava un olio miracoloso che procurava numerose guarigioni. L’olio, chiamato “le grazie di Maria”, non si esauriva mai, e veniva utilizzato sia per ungere la fronte dei pellegrini sia per riempire dei vasettini che essi portavano a casa91. Analogamente, nel santuario grumentino della Salus Infirmorum, l’olio della lampada che ardeva dinanzi alla Vergine veniva raccolta in caraffine offerte ai devoti i quali, come attesta il Ramaglia, coll’unzione di quell’olio hanno esperimentato ed esperimentano infiniti miracoli92. Sempre a Grumento, a S. Maria delle Grazie, i fedeli ottenevano la guarigione bevendo o bagnandosi nell’acqua contenuta nel pozzetto situato ai piedi dell’altare93. Per guarire dall’epilessia, i devoti si recavano di preferenza ai santuari dedicati a san Donato di Anzi e di Ripacandida. A Ripacandida, in particolare, era consuetudine pesare i bambini ammalati e lasciare alle suore la quantità di grano corrispondente al peso. Intorno ad altri santuari si sono venute sviluppando pratiche extra-liturgiche a metà strada tra il fine terapeutico e quello propiziatorio. Si pensi al “comparizio della spina”, documentato nei santuari dell’Annunziata di Baragiano, di Fonti e di Picciano, della Madonna di Costantinopoli di Barile, della Gloriosa di Montemilone94. Vi erano, ancora, i santuari deputati alla guarigione degli animali domestici. A Banzi, nelle grandi festività della Pasqua e del Ferragosto, quelli malati venivano fatti passare per tre volte dal cortile della badia alla corte della chiesa: quando gli animali erano pochi, il padrone era tenuto a lasciare alla chiesa una certa somma in elemosina, mentre, quando essi erano “a rocchie”, cioè a gruppi, il padrone era costretto a lasciare in beneficio il primo o l’ultimo che entrasse nella chiesa95. Processioni con muli, cavalli ed asini inghirlandati a festa si svolgevano anche presso il santuario di S. Antonio abate di Grottole, specialmente invocato per la benedizione degli animali domestici96. Ma se la funzione terapeutica contraddistingueva in modo più netto alcuni santuari rispetto ad altri, è però anche vero che la richiesta di grazie è stata sempre un momento essenziale di tutti i pellegrinaggi. Ne costituiscono una viva testimonianza, tra l’altro, le ricche raccolte di ex-voto che si sono venute formando in molti santuari, segni di grazie ricevute o invocate. In numerosi casi le raccolte, molto antiche, sono andate col tempo disperse e se ne conserva solo il ricordo grazie alle notizie riportate in fonti documentarie o bibliografiche. A proposito del santuario di S. Maria della Consolazione di Rotonda, ad esempio, agli inizi del XVIII secolo Serafino da Montorio scriveva di molte “tabelle” appese alle sue mura dalle quali si arguiva che la Vergine ha data la salute a moltissimi disperati da medici; a muti ha restituita la perduta favella, ed agli artetici, e mutili ha rassettati gli articoli, e nervi.97 Agli inizi del XX secolo il viaggiatore inglese Norman Douglas rimaneva invece colpito, nel corso della festa della Madonna del Pollino, dalla presenza di baracchette dove si vendevano, quali ex-voto, delle riproduzioni in cera delle varie parti del corpo miracolosamente guarite per intercessione della Vergine: braccia, gambe, dita, seni, occhi.98 Fra le raccolte di ex-voto più ricche giunte sino a noi sono senz’altro da citare quelle del santuario di S. Rocco di Tolve, dell’Incoronata di Melfi e del Carmine di Avigliano99. La “miracolosità” dei santuari si esprimeva anche attraverso la manifestazione di eventi prodigiosi spesso legati ai simulacri: nel XVII secolo scaturì sudore dall’immagine di S. Maria delle Grazie di Venosa, in epoca imprecisata pianse sangue l’icona di Banzi, mentre l’immagine della Madonna di Fonti lacrimò il 2 maggio 1813100. L’intensa devozione popolare, il più delle volte, si traduceva anche in numerose donazioni ed offerte in beni mobili ed immobili, sicché intorno ai santuari si vennero costituendo enormi patrimoni. Si pensi ad esempio al santuario di S. Maria di Pierno, riccamente dotato nella seconda metà del sec. XII dalla famiglia normanna dei Balvano101. In epoca moderna, si pensi al cospicuo patrimonio armentizio in possesso del santuario della Madonna del Carmine di Avigliano102. La cospicuità delle rendite contraddistingueva anche i santuari minori. Ad Abriola sino a poco tempo fa si è tramandato l’antico detto popolare “la Madonna di Monteforte è ricca”: la cappella, effettivamente, poté vantare nel passato di una rendita davvero considerevole, inferiore solo a quella del clero capitolare103. Lo storico venosino Giacomo Cenna, nel XVII secolo, riferiva che al suo tempo il santuarietto di S. Maria delle Grazie possedeva circa mille pecore, configurandosi, in tal modo, come una delle pochissime chiese della città che non pativa per l’esiguità delle rendite104. Cospicuo pure il patrimonio della chiesa di S. Maria della Seta di Anzi105. La cospicuità delle rendite contribuì in molti casi a determinare intorno ai santuari intense situazioni di conflittualità. Lunghissime le controversie che si perpetuarono ad esempio intorno a quello di S. Maria di Pierno, conteso fra i due principi Doria e Caracciolo di Torella, fra i due vescovi di Muro Lucano e di Melfi, fra le due università di Atella e di San Fele106. Altrettanto dicasi per altri santuari, tra cui, per citare solo qualche esempio, quelli dedicati a S. Maria delle Grazie di Venosa e di Saponara107. Il clima di conflittualità affondava non di rado le sue radici anche in una particolare caratteristica dei santuari, in base alla quale essi si venivano a configurare, agli occhi dei fedeli, come qualcosa di proprio e di diverso dalla chiesa organizzata. Al contrario delle parrocchie, essi rappresentavano i luoghi dello straordinario e del festivo, strutture non quotidiane ma periodiche del sacro, luoghi di culto imposti e sostenuti dalla pietà dei fedeli e che occupavano un posto a sé stante rispetto alla complessa organizzazione ecclesiastica. La diversità dalla parrocchia emerge in molte leggende di fondazione, dove si ripete il tema del simulacro che, trasportato nella chiesa del paese, torna miracolosamente al luogo del ritrovamento: si pensi a tal proposito alle leggende di fondazione dei santuari della Gloriosa di Montemilone, della Madonna del Pantano di San Giorgio Lucano, della Madonna d’Orso leo, della Madonna dei Fraticelli di Carbone, del Sagittario di Chiaromonte, di Pierno e di Viggiano. I laici, del resto, assai spesso organizzati in confraternite108, in comitati o in gruppi informali di fedeli, occupavano effettivamente un posto di primo piano nell’organizzazione dei pellegrinaggi, nella gestione delle feste, nella stessa cura e manutenzione degli edifici sacri109. Il ruolo dei laici si accentuava quando i santuari erano di giuspatronato di famiglie benestanti o delle università: erano quest’ultime, allora, a nominarne i procuratori laici e i cappellani addetti al servizio liturgico110. All’iniziativa dei laici si deve, d’altronde, il perpetuarsi nel tempo di riti e consuetudini codificati e tramandati di generazione in generazione. Particolarmente interessanti, ad esempio, quelle disciplinanti il trasporto processionale delle statue, all’interno delle quali precedenze e prerogative sono state sempre rigidamente fissate111. In diversi casi, un ruolo particolare viene tuttora svolto dalle donne, non di rado protagoniste indiscusse dei momenti più salienti dei pellegrinaggi. Durante la processione in onore della Madonna del Pollino, ad esempio, è prerogativa delle donne procedere immediatamente dietro la statua della Vergine trasportando sulla testa i ceri votivi112 mentre, nel santuario del Sirino, sono ancora le donne a restare per tutta la notte in chiesa pregando e cantando113. Interessante il complesso di riti e di pratiche extra liturgiche aventi luogo nell’area sacra: oltre a quelli cui sopra si è già fatto cenno, si pensi ancora alla raccolta di erbe particolari come i cosiddetti “capelli dell’Angelo” o “della Madonna”, ancora oggi documentata nei santuari della Madonna di Monteforte e di S. Maria della Rupe a S. Martino d’Agri; all’usanza del trasporto di castelli di candele, chiamati “cinti” o “cente”, portati a spalla durante le processioni e lasciati nei santuari; alla deposizione di vasi di grano appena germinato sotto l’altare della Madonna Grumentina; all’usanza di toccare la statua con rami e mazzi di fiori raccolti nei pressi del santuario e successivamente portati a casa, documentata ad esempio per i santuari di Viggiano e del Sirino. Le pratiche ed i riti in alcuni casi hanno conservato un carattere individuale, in altri sono venuti esplicitandosi in feste popolari coinvolgenti intere comunità locali. Ad Episcopia, nel corso della festa in onore della Madonna del Piano, dopo le funzioni religiose, i fedeli mimano la danza del falcetto114. A Gorgoglione ancora oggi la sera dell’11 giugno la statua della Madonna del Pergamo viene trasportata dal paese al santuario su un carro trainato da una coppia di buoi: il giorno successivo, dopo le funzioni religiose, ha luogo l’innalzamento del “maggio”, formato dalla congiunzione del tronco di un cerro con uno di agrifoglio. A Brienza, durante la festa del Ss. Crocifisso di settembre, la processione che scende dal monte si congiunge in paese ad un’altra processione partita dalla chiesa madre con la statua dell’Addolorata. Giunta l’unica processione in piazza, un ragazzo vestito da angelo, a mezz’aria su un cavo teso fra due palazzi frontali, presenta al Crocifisso e alla Madre gli strumenti della Passione recitando versi115. A San Costantino albanese, durante la festa in onore della Madonna della Stella, ha luogo l’incendio di caratteristici pupazzi in cartapesta, i “nuzazit”116. Il momento ludico e gioioso ha avuto solitamente un posto importante nella parte conclusiva dei pellegrinaggi vedendo coinvolte in modo particolare le classi più umili: non a caso in esso è possibile riconoscere tutti gli elementi tipici della cultura popolare della festa117, come l’importanza data all’abbigliamento118, il consumo di pasti abbondanti119, il gioco e il divertimento120. Attraverso la celebrazione di riti accomunanti intere comunità ha continuato ad esprimersi, sia in epoca moderna che in quella contemporanea, l’antica funzione di aggregazione sociale che già in epoca medievale aveva contraddistinto i luoghi sacri. Funzione aggregante che i santuari hanno continuato ad esercitare soprattutto in presenza di forti fattori di dispersione e di disaggregazione sociale come l’emigrazione di massa all’estero verificatasi tra gli ultimi decenni del XIX e la prima metà del XX secolo. Il legame fra gli emigrati lucani in America ed il proprio santuario è rimasto sempre forte e si è venuto esplicitando in mille modi, nelle generose offerte per il restauro degli edifici sacri nella madrepatria, come nella costruzione, nella nuova terra, di santuari filiati dedicati alla propria Madonna o al proprio santo121. In questo complesso mondo di riti e di simboli l’autorità ecclesiastica ha cercato più volte di inserirsi tentando di incanalare le manifestazioni di pietà del popolo nelle forme ufficiali della preghiera liturgica della chiesa. Durante le feste, sin dall’epoca moderna, è spesso documentata la presenza di numeroso clero, impegnato nella celebrazione di messe solenni e nelle confessioni. Alla vigilia della grande festività della Madonna di Pierno, ad esempio, il vicario foraneo di San Fele era solito chiedere al vescovo di Muro la facoltà di confessare per un certo numero di sacerdoti122. Solo in rarissimi casi si poteva registrare la denuncia, da parte dell’autorità vescovile, di consuetudini ritenute pericolose o di pratiche ritenute paganeggianti: si pensi all’aperta condanna suscitata dal rito del “passaggio della spina” praticato a Baragiano durante la festa dell’Annunziata123. Nel 1880 il vescovo di Muro dava il permesso di tenere aperto il santuario di Pierno durante tutta la nottata che precedeva la festività, non senza prima però aver esortato i devoti ad attendere soltanto alla glorificazione della S. Vergine con inni, cantici, litanie, ed altre consimili devozioni; restando assolutamente vietato di mangiar quivi, dormire, o far chiasso e baccano. L’anno seguente il vescovo interveniva nuovamente per proibire la processione della sera del 14 agosto, vigilia della festività, a causa dell’ora tarda in cui si svolgeva e che poteva essere causa di confusione, di disturbi, di risse, e forse di altri anche più enormi delitti.124 Del resto le preoccupazioni dei vescovi non erano senza fondamento, come dimostrano i frequenti casi di risse e disordini scoppiati durante i pellegrinaggi125. Nella maggior parte dei casi, però, l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica è stato sempre piuttosto positivo. In una lettera indirizzata nel 1883 a Roma, diretta a far accordare le indulgenze a favore di chiunque visitasse il santuario di Pierno, il vescovo di Muro Lucano, mons. Capone, riferiva tra l’altro della devozione dei paesi circonvicini non solo ma anche lontani a questa prodigiosa immagine di Maria, da cui si ripetono grazie e benefici singolari…126 Altre volte, ancora, i vescovi intervenivano per legittimare la nascita di nuovi santuari, non di rado partecipando personalmente ai pellegrinaggi. Vescovi e papi, del resto, spesso arricchirono i santuari di preziose reliquie, di indulgenze, o sancirono l’autenticità di fatti miracolosi127. La legittimazione del culto trova la sua massima espressione, fra la fine del XIX ed il XX secolo, nell’incoronazione di molti simulacri per decreto del Capitolo Vaticano e su sollecitazione dei vescovi locali.


Aliano - Santuario Madonna della Stella
Craco - Santuario Madonna della Stella
Ferrandina- Santuario Madonna dei Mali
Gorgoglione- Santuario Madonna del Pergamo
Grottole- Santuario Sant’Antonio abate
Matera-, Borgo Venusio- Santuario San Giovanni da Matera
Matera- Santuario di San Francesco di Paola
Matera- Santuario La Bruna
Matera- Santuario Madonna di Picciano
Matera- Santuario Santa Maria de Idris
Matera- Santuario Santa Maria della Palomba
Matera- Santuario Santa Maria della Vaglia  
Pisticci- Santuario Madonna della Sanità del Casale
Santuario Santa Maria del Monte (Salandra)
Santuario Madonna del Pantano (San Giorgio Lucano)
Santuario Santa Maria la Beata (Stigliano)
Tricarico- Santuario della Madonna di Fonti
Tursi- Santuario Maria Santissima Regina di Anglona

Santuario Madonna di Monteforte (Abriola)
Santuario San Donato (Anzi)
Santuario Santa Maria della Seta (Anzi)
Santuario Madonna della Stella (Armento)
Santuario Madonna di Laudata (Atella)
Santuario S. Maria del Carmine (Avigliano)
Santuario Santa Maria di Costantinopoli (Balvano)
Santuario Santa Maria di Banzi (Banzi)
Santuario della Annunziata (Baragiano)
Santuario Madonna di Costantinopoli (Barile)
Santuario Madonna del Santissimo Crocifisso (Brienza)
Santuario Maria Santissima di Monte Saraceno (Calvello)
Santuario Santa Maria di Costantinopoli (Castelgrande)
Santuario Madonna della Neve (Castelluccio Inferiore)
Santuario Madonna del Soccorso (Castelluccio Superiore)
Santuario Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte)
Santuario Madonna del Piano (Episcopia)
Santuario Santissimo Crocifisso (Forenza)
Santuario Santa Maria delle Grazie (Genzano di Lucania)
Santuario Madonna del Grumentino (Grumento Nova)
Santuario Madonna di Monserrato (Grumento Nova)
Santuario Santa Maria delle Grazie (Grumento Nova)
Santuario Madonna di Pergamo (Guardia Perticara)
Santuario Madonna del Sauro (Guardia Perticara)
Santuario Madonna di Sirino (Lagonegro)
Santuario Maria Santissima del Carmelo (Laurenzana)
Santuario Madonna dell’Armo (Lauria)
Santuario Maria Santissima del Principio (Lavello)
Santuario di San Biagio (Maratea)
Santuario Madonna di Fatima (Maratea)
Santuario Madonna di Costantinopoli
(Marsico Nuovo) Santuario Madonna del Vetere (Moliterno)
Santuario Santa Maria della Gloriosa (Montemilone)
Santuario Madonna di Capodigiano (Muro Lucano)
Santuario Madonna di Sovereto (Nemoli)
Santuario Maria Santissima del Belvedere (Oppido Lucano)
Santuario Madonna di Montemauro (Pescopagano)
Santuario Madonna del Pantano (Pignola)
Santuario San Michele (Pignola)
Santuario San Donato (Ripacandida)
Santuario Santa Maria di Montauro (Sarconi)
Santuario Maria Santissima del Monte Pierno (San Fele)
Santuario Sant’Angelo al Raparo (San Chirico Raparo)
Santuario Madonna della Stella (San Costantino Albanese)
Santuario Madonna della Rupe (San Martino D’Agri)
Santuario Maria Santissima del Pollino (San Severino Lucano)
Sant'Arcangelo- Santuario Santa Maria di Orsoleo
Satriano di Lucania- Santuario Madonna delle Grazie
Tito- Santuario Madonna del Monte
Tito- Santuario Madonna del Carmine
Tolve- Santuario San Rocco
Trecchina- Santuario Madonna dei Miracoli
Trecchina- Santuario Maria Santissima del Soccorso
Vaglio di Basilicata- Santuario Madonna di Rossano
Venosa- Santuario Madonna di Montalto
Venosa- Santuario Santa Maria delle Grazie
Venosa- Santuario Santissima Trinità
Viggiano- Santuario Madonna del Sacro Monte Share

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