La terra di Basilicata è spesso legata alla magia, sopratutto dopo i "viaggi" e le "permanenze" di De Martino, Carpitella, Di Gianni e altri "cercatori di umanità perse".
Un luogo in cui la spiritualità è presente da sempre in svariate declinazioni, di influenza esterna e anche autonome.
Nelle varie comunità, la spiritualità prende forme e atteggiamenti diversi ma con un unico comune denominatore: è l'unica forza a cui gli uomini potevano rivolgersi, anche in modo
circoscritto, amplificata da un territorio che si presta al rapporto malevole tra uomo e natura.
Riprendo un articolo sui santuari in Basilicata apparso su Consiglio Informa, a cura di Valeria Verrastro.
Sin dai secoli più antichi l’intenso sentimento religioso delle popolazioni lucane è testimoniato dai resti di una fitta rete di templi, edicole, fonti e boschi sacri. Analogamente,
nell’epoca medievale
e moderna, il territorio
dell’attuale Basilicata appare
caratterizzato da una netta
distinzione fra spazi sacri
e profani, fra luoghi gestiti
dall’autorità terrena e luoghi
creati da una speciale
manifestazione della divinità .
Una geografia sacra,
quella lucana, caratterizzata
da un’elevata densità di piccoli
centri di pellegrinaggio
a raggio d’attrazione limitato
a pochi paesi
, e percorsa
dal frequente sorgere di
nuovi santuari e dal contemporaneo
abbandono di
quelli più antichi.
La presente ricerca si concentra
su quei luoghi che,almeno per un certo tempo,
furono considerati sacri
in seguito ad una particolare
epifania del divino, e che
per questo motivo divennero
meta di più o meno numerosi
pellegrinaggi .
L’attenzione,
però, non è focalizzata
solo su quelli più rinomati
e conosciuti dalle
curie, bensì anche su quei
piccoli santuarietti locali
che, sopravvissuti talvolta a
mala pena, appaiono tuttavia
«significativi, come portatori
di un messaggio dal
profondo dei tempi.»
Il discorso non può non
trarre il suo punto d’avvio
dalla considerazione di un
forte legame di continuità
fra la nascita dei nuovi centri
di culto cristiano e la
preesistente rete di santuari
pagani.
Una continuità che
è testimoniata non solo dai
più evidenti casi di travaso
di culto e di cristianizzazione,
ma anche dal perpetuarsi
di una certa “cultura del
sacro” che continuò ad esprimersi
secondo canoni
abbastanza identificabili. Si
pensi, ad esempio, alla scelta
di determinati ambienti
naturali caratterizzati quasi
sempre dalla presenza di
monti, boschi, sorgenti,
rocce e grotte. Si pensi alla
iconografia ricorrente delle
divinità femminili, raffigurate,
analogamente a quanto
avverrà più tardi per le
statue mariane, come regine
sedute in trono e madri,
con pomi nella mano sinistra
in atteggiamento di offerta.
Fra i casi di evidente travaso
di culto va citato, in
primis, il santuario della
Madonna di Rossano a Vaglio
di Basilicata, situato a
monte della grande sorgente
che alimentava il santuario
della dea Mefitis, localizzato a valle della stessa
fontana . Sul luogo dell’attuale
chiesa di S. Maria
d’Anglona sorgeva invece il
santuario campestre di Demetra
e Artemide Bendis8
,
mentre il santuario di S.
Maria di Banzi, con l’adiacente
abbazia benedettina,
venne ad occupare un’area
sacra annessa all’abitato
osco-romano, dove sono
stati rintracciati i resti di un
tempio augurale9
. Nelle vicinanze
del santuario di S.
Michele a Monticchio,
presso le sorgenti di S. Maria
di Luco e in prossimità
di una grotta ubicata sotto
l’abbazia, sono venuti alla
luce reperti che farebbero
pensare ad antichi culti alle
acque salutifere10. Di grande
evidenza è, ancora, l’esempio
del santuario della
Madonna Grumentina sorto
nei pressi dell’area archeologica
dell’antica città
romana di Grumentum, dove
era stato vivo il culto verso
una divinità femminile,
probabilmente anch’essa
identificabile con la dea
Mefitis11. Più controverso è
il caso di S. Maria di Picciano:
alcuni studiosi hanno
formulato l’ipotesi, in verità
non fondata su elementi
attendibili, della presenza
sul colle di un santuario pagano
in stretto rapporto
con quello di Timmari12.
Sui siti di altri santuari le
indagini archeologiche hanno
invece portato all’individuazione
di insediamenti
umani. Segni di cinte fortificate
indigene sono stati
rintracciati sulla collina del
santuario della Madonna
del Vetere di Moliterno13,
tracce di insediamenti sono
state riscontrate nelle zone
del santuario della Madonna
della Stella ad Aliano,
della Madonna delle Serre a
Roccanova e di S. Maria
d’Irsi14. Una notevole sepoltura
femminile è venuta
alla luce nell’area del santuario
della Madonna della
Stella a Castelluccio Inferiore15,
mentre a Muro Lucano,
nei pressi del santuario
di S. Maria di Capodigiano,
l’intensa frequentazione
romana sarebbe confermata,
tra l’altro, dall’ara
cilindrica funeraria posta
davanti alla facciata della
chiesa medioevale16.
Senz’altro, dunque, sulla
nascita dei santuari cristiani
dovette influire il perpetuarsi
della sacralità di determinati
spazi e la probabile
volontà, da parte della
gerarchia ecclesiastica, di
reinterpretarne in chiave
cristiana i contenuti e i riti.
Così, il culto delle acque
che aveva contraddistinto il
santuario di Grumentum si
perpetuò nel santuario mariano17;
analogamente a S.
Michele di Monticchio si
perpetuarono diversi riti
collegati alla fertilità18; a S.
Maria di Picciano la continuità
di culto, secondo alcuni
studiosi, avrebbe lasciato
segni evidenti nel simulacro
venerato19.
Ma l’evidente rapporto
fra gli antichi luoghi di culto
pagano e i nuovi santuari
cristiani risolve solo in parte
il problema dell’origine di
quest’ultimi. Bisogna tenere
presente infatti che fra
culto cristiano e culto pagano
permangono spesso hiatus
di secoli20: è chiaro allora
che sulla nascita dei santuari
cristiani dovettero incidere
anche più tardi influssi
culturali.
Gran parte ebbe certamente
il fenomeno monastico.
A S. Maria di Banzi la
comunità benedettina maschile
fu sottomessa all’abbazia
di Montecassino già
nel 797-98 o, al più tardi,
nell’815-1621. A S. Michele
di Monticchio il monastero
è attestato con sicurezza in
un diploma rilasciato dall’imperatore
Ottone II nel
98222. La chiesa di S. Maria
del Casale di Pisticci, insieme
all’attiguo monastero
benedettino, è citata già in
documenti dell’XI secolo23.
A Picciano la comunità benedettina,
attestata per la
prima volta in un documento
dell’agosto del 1219,
risale almeno al secolo precedente24.
Nello stesso territorio
di Matera, una comunità
benedettina doveva
sicuramente essere presente
già in epoca medioevale accanto
alla chiesa ipogea di
S. Maria della Valle25. Nel
territorio di Venosa si collocano
altri due importanti
insediamenti monastici collegati
a luoghi di culto:
quelli della Ss. Trinità, che
risale con tutta probabilità
al sec. XI e fu benedettino
maschile26, e di S. Maria di
Monte Albo, documentato
già nel XII secolo e dove dimorarono
monache dello
stesso Ordine27. Nei pressi
di Francavilla in Sinni, ancora,
l’insediamento dei
monaci cistercensi di S.
Maria del Sagittario, attestato
a partire dai primi anni
del sec. XIII, secondo alcuni
autori sarebbe già documentato
nei due secoli
precedenti. In numerosi casi il legame
con l’esperienza monastica
appare più indiretto:
alcuni santuari, infatti, furono
dipendenze di monasteri
della regione o di fuori
regione. Quello della Madonna
del Pantano nei pressi
di Pignola fu dipendenza
del monastero benedettino
di S. Maria di Positano29,
mentre la chiesa di S. Maria
della Gloriosa di Montemilone
appare citata già in documenti
dell’XI secolo quale
dipendenza dell’abbazia
di Banzi30. A quest’ultima
apparteneva anche la chiesa
di S. Maria de Sala nel bosco
di Francavilla presso Palazzo
San Gervasio, identificabile
con l’attuale santuario
mariano della Madonna
di Francavilla31. Da S. Maria
di Pierno dipendeva la
chiesa di S. Maria di Capodigiano
a Muro Lucano,
fondata nei secoli XII-XIII
su una preesistente chiesetta
rurale32. All’ambito verginiano
deve essere ricondotto
con molta probabilità
anche il santuario di S. Maria
di Fondi nei pressi di
Tricarico, quasi certamente
dipendenza dell’abbazia di
Montevergine già nel XIII
secolo33. Dipendenze benedettine
furono anche i santuari
della Madonna del
Belvedere a Oppido Lucano,
di S. Maria d’Irsi, della
Madonna del Pergamo nei
pressi di Gorgoglione, di S.
Maria del Principio di Lavello
e di S. Donato di Ripacandida34.
Due casi particolari sono
costituiti dai santuari di S.
Maria di Pierno35 e di S.
Angelo al Raparo36, dove la
santità dei monaci che vi
dimorarono in eremitaggio,
rispettivamente san Guglielmo
da Vercelli e san Vitale
da Castronuovo, dovette
fortemente influire nel
far divenire quei luoghi mete
di continui pellegrinaggi.
In molti casi i benedettini
occuparono luoghi in precedenza
abitati da monaci
italo-greci. È indubbio infatti
che quest’ultimi avevano
svolto nella regione un
ruolo di primaria importanza
nella promozione della
vita spirituale, sollecitata
attraverso un’evangelizzazione
di grande efficacia
delle plebi contadine, attraverso
una vita religiosa marcatamente
corale, tendente
a oltrepassare i chiusi confini
del monastero per raggiungere
la comunità esterna
e per attirarla, attraverso
la parola, verso elevati contenuti
spirituali.37
Un dato molto importante
è costituito dalla chiara
prevalenza della devozione
mariana che, se può essere
in parte spiegabile con la
preesistenza di culti verso
dee pagane o col bisogno
dei laici di garantirsi un
rapporto con la divinità libero
dai condizionamenti
del potere38, non può non
rimandare all’influsso esercitato
dalla spiritualità
orientale. Quest’ultima si
era venuta caratterizzando,
appunto, anche per l’intensa
devozione mariana e per
la venerazione delle icone,
considerate veri e propri sacramentali.
Culto delle icone
che, come lasciano pensare
molti indizi39, nei secoli
medievali in Basilicata
dovette essere assai diffuso e
probabilmente all’origine
di molti santuari. Le icone,
nel corso dei secoli, furono
verosimilmente sostituite
da nuove copie, o, più spesso,
da raffigurazioni scultoree40,
in qualche caso da più
modesti dipinti. Il quadro
attualmente venerato a S.
Maria del Principio di Lavello,
ad esempio, avrebbe
preso il posto di un’antica
icona su tavola, ritenuta assai
miracolosa41. Il ricordo
di antiche icone un tempo
venerate e successivamente
sostituite da raffigurazioni
scultoree si conserva in altri
santuari42. Alcuni indizi lasciano
inoltre pensare alla
comunità di S. Maria come
ad un attivo centro di produzione
iconografica43.
Purtroppo, né le fonti documentarie
né quelle iconografiche
sono sufficienti a
fondare con sicurezza queste
ipotesi. Al contrario, la tradizione
orale popolare è ricca
di riferimenti all’esperienza
spirituale orientale: il
tema del simulacro venerato
da monaci “basiliani” e da
questi nascosto per sfuggire
alla lotta iconoclasta ricorre
nelle leggende di fondazione
di quasi tutti i santuari mariani
più antichi. Talora,
però, i riferimenti a preesistenti
laure di monaci italogreci
non sono privi, come
nel caso di S. Maria della
Gloriosa a Montemilone, di
riscontri piuttosto degni di
interesse nella toponomastica
locale44.
In ogni caso, la tendenza
degli ordini monastici e religiosi
ad insediarsi in luoghi
già ricchi di una tradizione
spirituale è confermata
in Basilicata dalle scelte
che faranno successivamente
i francescani e gli altri ordini
religiosi45. Una piccola
comunità di carmelitani, ad
esempio, si sarebbe insediata
per un certo periodo accanto
alla Madonna della Gloriosa di Montemilone46.
Nei santuari lucani medievali
il culto verso simulacri
mariani rimane comunque
assolutamente prevalente
rispetto a diversi oggetti
di devozione. Meno
consistente ma nient’affatto
trascurabile il numero dei
santuari micaelici sinora accertati47,
diffusisi prevalentemente
nei territori della
Basilicata occidentale sottoposti
alla dominazione longobarda48.
Una menzione
particolare merita il santuario
di Pignola, situato nei
pressi di una sorgente un
tempo ritenuta miracolosa
per le febbri49. Si dubita ancora
quale sia stato l’uso
della grotta localizzata a
Maratea sul versante meridionale
del Monte S. Biagio50.
In pochi casi la devozione
fu orientata verso reliquie
di santi e martiri. Alla Ss.
Trinità di Venosa già nel
1124, come si specifica in
una carta di donazione, nel
santuario riposavano multa
corpora sanctorum, fra i quali
di un particolare culto godevano
quelli dei martiri
Senatore, Viatore, Cassiodoro
e Nominata. Secondo
la seicentesca Cronaca venosina
di Giacomo Cenna,
l’abate del cenobio benedettino,
Ingelberto, avrebbe
mandato a papa Leone
IX una relazione circa il loro
ritrovamento, ed in seguito,
nel 1055, papa Vittore
II avrebbe raccomandato
la loro venerazione al
clero e al popolo di Venosa
e di tutta la Puglia. È indubbio
che i quattro martiri
godevano a Venosa di
una grande devozione, testimoniata
tra l’altro dal
martirologio del monastero,
all’interno del quale i loro
nomi furono messi ben
in evidenza tramite l’uso di
lettere maiuscole51. Il culto
verso reliquie di santi è documentato
anche nel santuario
di S. Biagio di Maratea52.
I santuari medievali sono
costituiti quasi sempre da
edifici monumentali conservanti
al loro interno emergenze
artistiche di un
certo rilievo. Si pensi a S.
Maria di Pierno, a S. Maria
del Casale di Pisticci, a S.
Maria d’Anglona, a tutte le
altre chiese che, pur di dimensioni
più modeste, furono
decorate all’interno da
pregevoli dipinti murali,
nella maggior parte dei casi
databili fra il XII ed il XIV
secolo, riproponenti iconografie
e stilemi bizantini53.
Poche notizie abbiamo
circa il tipo di culto che in
epoca medioevale si venne
sviluppando intorno ai santuari.
Certamente essi dovettero
esercitare un importante
ruolo di aggregazione
e di scambio sociale. Ne costituisce
una prova la fitta
rete viabile sviluppatasi intorno
ad essi, creata dai frequenti
passaggi dei pellegrini,
in alcuni casi giunta
pressoché integra sino ai
nostri giorni54. Ne costituisce
una ulteriore testimonianza
la notizia di importanti
fiere che si celebravano
nei loro pressi nei giorni
in cui ricorreva la principale
festività e si verificava pertanto
la maggior affluenza
di pellegrini. La fiera della
Ss. Trinità di Venosa fu approvata
ufficialmente nel
1313, ma verosimilmente
doveva svolgersi già da tempo,
mentre la fiera della
Madonna della Vaglia di
Matera fu istituita col privilegio
della regina Giovanna
del 1343. Importante e antica
era pure la fiera di Anglona
di cui si ha notizia già
dal XIV secolo55. Leggende
più o meno antiche sembrano
avvalorare l’ipotesi
del ruolo di questi santuari
come luoghi di controllo
del territorio e di pacificazione
sociale. Nella leggenda
tramandata sotto il titolo
di “Vespro della Valle di
Vitalba” si narra, ad esempio,
dell’incontro avvenuto
nei pressi del santuario di S.
Maria di Pierno fra una discendente
dei fondatori
dello stesso santuario, Altruda
di Drogone, e il popolo
di San Fele in rivolta
contro il fiscalismo dei dominatori
angioini56.
Per i secoli medievali appare
comunque impossibile
fornire una mappa completa
dei luoghi considerati sacri.
In alcuni casi, infatti,
quest’ultimi vennero perdendo
col tempo la fama di
santuari, mentre altri furono
santuarietti poverissimi,
di cui la tradizione scritta
non ci ha trasmesso nemmeno
il ricordo. Si trattò
spesso di piccole cappelle
rurali o di grotte scavate
nella roccia, con le pareti
segnate da croci graffite, a
volte unica testimonianza
superstite dell’antico passaggio
del pellegrino57.
Spesso, pertanto, l’identificazione
di antichi santuari
rimane dubbia ed ipotizzabile
solo in base a pochi indizi.
Uno di questi casi è
rappresentato dalla chiesa medioevale di S. Maria del
Monte nei pressi di Melfi,
antica dipendenza dell’abbazia
benedettina di S. Michele
a Monticchio, alla
quale ancora nel XVII secolo
papa Urbano VIII concedeva
indulgenze58. Anche
per S. Maria della Seta di
Anzi gli unici indizi sono
costituiti da una scultura
della Vergine attribuibile ai
secoli XIV-XV e dalle notizie
fornite da studiosi della
seconda metà dell’Ottocento,
secondo i quali al santuario
«da remote regioni
concorrevano i fedeli a
sciorre i voti nelle loro traversie,
dirigendosi all’Avvocata
de’ miseri. E se i forestieri
di presente si sono raffreddati
in devozione, i cittadini
però ne serbano moltissima
e ardente.»59
Nei secoli XVI e XVII si
assiste ad una forte ripresa
del culto mariano, in coincidenza
col clima spirituale
e culturale determinatosi
all’indomani del Concilio
di Trento60. In pieno clima
controriformista si colloca
la nascita, a Saponara, del
nuovo culto alla Madonna
di Monserrato, di chiara
importazione spagnola, la
cui festa e cappella furono
fondate dall’arciprete Ettore
Giliberti nel 158261. Al
XVI secolo sembra risalire
anche il santuario di S. Maria
della Consolazione di
Rotonda: da una bolla di
Sisto V del 1585 si ricava
che gli abitanti di questo
centro costruirono il nuovo
tempio dedicato alla Madonna
del Soccorso in seguito
alla liberazione, avvenuta
per intercessione della
Vergine, da un male epidemico
e contagioso62. La bella
statua in pietra ivi venerata,
del resto, risale appunto
al 151263.
A Marsiconuovo, nel santuario
di S. Maria del Ponte,
un’iscrizione situata sul
portale della chiesa attesta
l’origine del santuario, costruito
per iniziativa della
popolazione, al 159364. Il
santuario materano di S.
Maria della Palomba fu costruito
alla fine del XVI secolo
su una grotta preesistente
dove, forse già da
tempi antichi, era venerato
l’attuale affresco della Vergine
col Bambino sul Braccio,
attribuito al XIII-XIV
secolo65. Il 4 luglio 1579,
all’indomani della festa della
Visitazione della Vergine,
l’immagine avrebbe cominciato
ad operare “continui
miracoli d’ogni sorta”, guarendo
un gran numero di
persone da varie malattie,
in particolare dall’ernia.
Con le elemosine lasciate
dai devoti furono scavate le
fondamenta di una grande
chiesa che l’arcivescovo di
Matera dedicò alla Presentazione
della Vergine66.
Nello stesso secolo si assiste
pure al rilancio dei santuari
più antichi, per i quali
si verifica una sorta di
“rifondazione”. Essi vennero
ingranditi, abbelliti, e
spesso fatti nuovamente oggetto
di una leggenda coerente67.
Lavori di ristrutturazione
e ingrandimento
subirono ad esempio i santuari
della Madonna di
Monteforte di Abriola, di S.
Maria della Seta di Anzi e di
S. Maria del Principio di
Lavello, tutti e tre decorati
con i bellissimi affreschi del
pittore Giovanni Todisco68.
Anche il santuario di Pierno
venne ingrandito e fatto
oggetto di una nuova sacralizzazione69.
Ad importanti
lavori di ingrandimento
vennero sottoposti pure i
santuari della Madonna del
Belvedere di Oppido Lucano
e della Gloriosa di Montemilone70.
Il grande rilancio del culto
mariano, iniziato nel
XVI secolo, continuò anche
nei due secoli successivi.
Si ripetono, nelle leggende
e nei racconti, i temi
della liberazione da gravi
calamità naturali o della
manifestazione di eventi
prodigiosi. Per voto della
popolazione locale, certa
della protezione accordata
dalla Vergine in occasione
del terribile terremoto del
1694, sorse il santuario della
Madonna del Carmine di
Avigliano71. Intorno al
1630 sorse il santuario della
Madonna del Sirino: ad iniziativa,
pare, di un sacerdote
di Lagonegro e con il
concorso di pubbliche elargizioni72.
Dei fatti prodigiosi
verificatisi a Venosa
presso una grotta dedicata a
S. Lucia, dove in seguito fu
costruita la cappella della
Vergine delle Grazie ci riferisce,
a pochi anni di distanza,
l’arcidiacono Giacomo
Cenna73.
Negli stessi anni ebbe origine
il santuario di Genzano,
pure dedicato alla Madonna
delle Grazie. Si narra
che una donna sarebbe apparsa
nel 1619 a un giovane
che custodiva i suoi buoi, e
gli avrebbe detto che se
avesse scavato vicino alla
fontana di Capo d’Acqua
avrebbe trovato la sua immagine:
nel nuovo santuario
la Vergine dispensò “infiniti
miracoli, e grazie”,
tanto che non “basteria lingua
umana a raccontarlo”74.
Ferrandina, chiesa della Madonna dei Mali. Trecce di capelli come ex-voto
(Foto Ottavio Chiaradia)
— 114 —
Del 1650 circa è il santuario
della Madonna del Pantano
di San Giorgio Lucano:
la leggenda di fondazione
riferisce del miracoloso
ritrovamento della statua
avvenuto nel XVI secolo ad
opera di alcuni cacciatori,
in una grotta che era stata
fin da tempi antichi un luogo
sacro, poi caduto in
oblio, ove la Vergine aveva
operato molti prodigi75.
Nel marzo del 1739 fatti
straordinari si verificarono
intorno ad un antico luogo
di culto mariano situato nei
pressi di Saponara, nella
contrada Grumentino: ce
ne fa un ampio resoconto
uno dei testimoni oculari,
lo storico Niccolò Ramaglia.
Egli riferisce di una
grave epidemia scoppiata
nel paese, causa di molte
morti. Ma ad una santa
monaca del monastero carmelitano
di S. Giovanni
Battista esistente nel paese
la Vergine avrebbe rivelato
che, se nell’antica cappella
di Grumentino fosse stato
ripristinato l’antico culto
caduto in oblio, il popolo
di Saponara sarebbe stato
liberato da quel flagello. Si
dette così inizio alla ricostruzione
della cappella, e
l’epidemia ebbe fine: fra le
persone guarite vi sarebbe
stata la stessa moglie del
Ramaglia76.
Il legame fra santuari ed
esperienze eremitiche, cui
già prima si è fatto cenno
con particolare riferimento
all’origine dei santuari di S.
Angelo al Raparo e di S.
Maria di Pierno, continua
anche in epoca moderna.
Per il santuario della Madonna
della Stella di San
Costantino Albanese, ad
esempio, la tradizione parla
di un oblato che vestiva rozzi
abiti di lana, che suonava
la campana del santuario
ogni sera e ogni mattina
prima dell’alba per far rientrare
gli spiriti vaganti sulla
terra e che ospitava chiunque
ne avesse bisogno77.
Sempre secondo la tradizione
un religioso solitario sarebbe
vissuto in una grotta
sottostante il santuario della
Madonna dei Saraceni di
Calvello78, mentre all’iniziativa
dei due eremiti insediatisi
nel XVIII secolo accanto
al santuario della Madonna
del Pantano in San
Giorgio Lucano la tradizione
locale fa risalire molti interventi
a favore del santuario79.
In alcuni casi la presenza
di eremiti è attestata
da precise fonti storiche:
quelli che si insediarono fra
la fine del XVI e gli inizi del
XVII secolo accanto al santuario
di S. Michele di
Monticchio non diedero affatto
buona prova di sé,
tanto da indurre l’università
di Melfi a presentare ricorso
contro di essi a Roma80.
Nel santuario della
Madonna della Foresta di
Lavello la presenza di eremiti,
tra cui anche uno straniero,
è documentata sia
nel XVII che nel XVIII secolo81.
L’apprezzo di Montemilone
del 1728 accenna
ad un “romita” che in quel
tempo abitava nel fabbricato
adiacente al santuario di
S. Maria della Gloriosa82.
Analoghe presenze sono accertate
nel 1629 accanto al
santuario di S. Maria del
Monte di Melfi: gli eremiti,
chiamati dal vicario del cardinal
Borromeo, si sarebbero
dimostrati “molto spirituali
e diligenti in riparare
detta chiesa”83.
L’eremitismo dovette dunque
essere un fenomeno
piuttosto massiccio che col
tempo si venne trasformando
in un problema sociale,
causando più volte la denuncia
dei vescovi lucani.
Nelle costituzioni sinodali
di Melfi del 1638 ad esso fu
dedicato un’intero capitolo,
in cui il vescovo Scaglia
metteva in guardia contro
quei falsi eremiti che, senza
la sua approvazione e spinti
dall’unico desiderio di evitare
il lavoro dei campi, arrivavano
numerosi nella regione
stabilendosi accanto a
chiese e cappelle campestri,
vestendo abiti scuri e cingendosi
di funi, vivendo
delle elemosine dei fedeli e
simulando una vita di santità84.
Ma la cultura dell’eremitismo
dovette sopravvivere
ancora a lungo
in Basilicata85.
Il tipo di devozione che
in epoca moderna si venne
sviluppando intorno ai santuari
conserva, nella maggior
parte dei casi, un’impronta
marcatamente ascetica
e penitenziale. Si pensi
ai lunghi pellegrinaggi compiuti
a piedi, durante i quali
i devoti osservavano un rigoroso
digiuno, alla faticosa
ascesa ai “sacri monti”,
compiuta spesso a piedi
scalzi e compiendo una serie
di pratiche e di riti che
sottolineavano tale aspetto
penitenziale. I pellegrini
che si recavano a S. Michele
di Monticchio, ad esempio,
usavano salire ginocchioni
per l’antica “scala santa” incavata
nel monte. Durante i
pellegrinaggi compiuti al
santuario di Pierno, invece,
si sviluppò il rito purificatorio
delle “crocelle”86. Analogo
significato assumevano altri riti, come il prelevare
ed il deporre pietre su mucchi
di sassi formatisi ai piedi
di croci di legno, il ritardare
l’entrata nel santuario compiendo
tre giri intorno ad
esso, l’entrare nel luogo di
culto in ginocchio, battendosi
il petto, piangendo e
implorando perdono, spesso
persino strisciando la lingua
a terra fino all’altare.
Per rendere possibile quest’ultimo
rito penitenziale
alcuni santuari, prevalentemente
nella zona del Materano,
presentavano il pavimento
interrotto al centro
da file di mattoni ceramicati
che dall’ingresso giungevano
sino all’altare maggiore87.
Talora le manifestazioni
penitenziali erano talmente
accentuate da suscitare
persino l’allarme delle
autorità: in una lettera del
23 novembre 1871 il sottoprefetto
di Matera scriveva
al prefetto di Potenza sull’atteggiamento
dei devoti
della Madonna di Picciano,
i quali vi si recano per sentimento
di devozione, se si
vuole mal inteso poicché si
vedono a fare il viaggio colla
testa scoperta, e coi piedi
scalzi ponendo a repentaglio
la loro salute, e talvolta
anche l’esistenza88.
Accanto alla funzione
marcatamente penitenziale
di molti pellegrinaggi, si
venne evidenziando la funzione
terapeutica attribuita
ad alcuni santuari, talora
generica, talora specializzata
rispetto a particolari forme
patologiche. A Venosa
si attribuiva un peculiare
valore terapeutico alla polvere
di marmo raschiata dal
portale della chiesa della Ss.
Trinità, i cui motivi ornamentali,
pertanto, sono
giunti sino a noi alquanto
consumati nella parte inferiore.
Nello stesso santuario,
durante le feste solenni, si mostravano pubblicamente
le reliquie dei martiri
ivi custodite: in tali occasioni,
come ci riferisce il
cronista venosino Giacomo
Cenna, si vedevano molti
miracoli di persone oppresse
da infirmità d’occhij risanare,
toccandono con loro paternostri
detti corpi santi, e
dopoi ponersili nell’occhij89.
A S. Biagio di Maratea molte
guarigioni si ottenevano
utilizzando qualche goccia
della “santa manna”, il liquido
giallastro che miracolosamente
scaturiva dai
marmi e dalle colonne del
trono del santo90. Ad Oppido
Lucano, nel santuario
della Madonna del Belvedere,
era anticamente conservata
un’anfora dalla quale
zampillava un olio miracoloso
che procurava numerose
guarigioni. L’olio,
chiamato “le grazie di Maria”,
non si esauriva mai, e
veniva utilizzato sia per ungere
la fronte dei pellegrini
sia per riempire dei vasettini
che essi portavano a casa91.
Analogamente, nel
santuario grumentino della
Salus Infirmorum, l’olio
della lampada che ardeva
dinanzi alla Vergine veniva
raccolta in caraffine offerte
ai devoti i quali, come attesta
il Ramaglia, coll’unzione
di quell’olio hanno esperimentato
ed esperimentano
infiniti miracoli92. Sempre a
Grumento, a S. Maria delle
Grazie, i fedeli ottenevano
la guarigione bevendo o bagnandosi
nell’acqua contenuta
nel pozzetto situato ai
piedi dell’altare93. Per guarire
dall’epilessia, i devoti si
recavano di preferenza ai
santuari dedicati a san Donato
di Anzi e di Ripacandida.
A Ripacandida, in
particolare, era consuetudine
pesare i bambini ammalati
e lasciare alle suore la
quantità di grano corrispondente
al peso.
Intorno ad altri santuari
si sono venute sviluppando
pratiche extra-liturgiche a
metà strada tra il fine terapeutico
e quello propiziatorio.
Si pensi al “comparizio
della spina”, documentato
nei santuari dell’Annunziata
di Baragiano, di Fonti e
di Picciano, della Madonna
di Costantinopoli di Barile,
della Gloriosa di Montemilone94.
Vi erano, ancora, i
santuari deputati alla guarigione
degli animali domestici.
A Banzi, nelle grandi
festività della Pasqua e del
Ferragosto, quelli malati venivano
fatti passare per tre
volte dal cortile della badia
alla corte della chiesa: quando
gli animali erano pochi,
il padrone era tenuto a lasciare
alla chiesa una certa
somma in elemosina, mentre,
quando essi erano “a
rocchie”, cioè a gruppi, il
padrone era costretto a lasciare
in beneficio il primo
o l’ultimo che entrasse nella
chiesa95. Processioni con
muli, cavalli ed asini inghirlandati
a festa si svolgevano
anche presso il santuario di
S. Antonio abate di Grottole,
specialmente invocato
per la benedizione degli
animali domestici96.
Ma se la funzione terapeutica
contraddistingueva
in modo più netto alcuni
santuari rispetto ad altri, è
però anche vero che la richiesta
di grazie è stata sempre
un momento essenziale di tutti i pellegrinaggi. Ne
costituiscono una viva testimonianza,
tra l’altro, le ricche
raccolte di ex-voto che
si sono venute formando in
molti santuari, segni di grazie
ricevute o invocate. In
numerosi casi le raccolte,
molto antiche, sono andate
col tempo disperse e se ne
conserva solo il ricordo grazie
alle notizie riportate in
fonti documentarie o bibliografiche.
A proposito
del santuario di S. Maria
della Consolazione di Rotonda,
ad esempio, agli inizi
del XVIII secolo Serafino
da Montorio scriveva di
molte “tabelle” appese alle
sue mura dalle quali si arguiva
che la Vergine ha data
la salute a moltissimi disperati
da medici; a muti ha restituita
la perduta favella,
ed agli artetici, e mutili ha
rassettati gli articoli, e nervi.97
Agli inizi del XX secolo
il viaggiatore inglese Norman
Douglas rimaneva invece
colpito, nel corso della
festa della Madonna del
Pollino, dalla presenza di
baracchette dove si vendevano,
quali ex-voto, delle
riproduzioni in cera delle
varie parti del corpo miracolosamente
guarite per intercessione
della Vergine:
braccia, gambe, dita, seni,
occhi.98 Fra le raccolte di
ex-voto più ricche giunte sino
a noi sono senz’altro da
citare quelle del santuario
di S. Rocco di Tolve, dell’Incoronata
di Melfi e del
Carmine di Avigliano99.
La “miracolosità” dei santuari
si esprimeva anche attraverso
la manifestazione
di eventi prodigiosi spesso
legati ai simulacri: nel XVII
secolo scaturì sudore dall’immagine
di S. Maria delle
Grazie di Venosa, in epoca
imprecisata pianse sangue
l’icona di Banzi, mentre
l’immagine della Madonna
di Fonti lacrimò il 2
maggio 1813100.
L’intensa devozione popolare,
il più delle volte, si
traduceva anche in numerose
donazioni ed offerte in
beni mobili ed immobili,
sicché intorno ai santuari si
vennero costituendo enormi
patrimoni. Si pensi ad
esempio al santuario di S.
Maria di Pierno, riccamente
dotato nella seconda
metà del sec. XII dalla famiglia
normanna dei Balvano101.
In epoca moderna, si
pensi al cospicuo patrimonio
armentizio in possesso
del santuario della Madonna
del Carmine di Avigliano102.
La cospicuità delle
rendite contraddistingueva
anche i santuari minori. Ad
Abriola sino a poco tempo
fa si è tramandato l’antico
detto popolare “la Madonna
di Monteforte è ricca”: la
cappella, effettivamente,
poté vantare nel passato di
una rendita davvero considerevole,
inferiore solo a
quella del clero capitolare103.
Lo storico venosino
Giacomo Cenna, nel XVII
secolo, riferiva che al suo
tempo il santuarietto di S.
Maria delle Grazie possedeva
circa mille pecore,
configurandosi, in tal modo,
come una delle pochissime
chiese della città che
non pativa per l’esiguità
delle rendite104. Cospicuo
pure il patrimonio della
chiesa di S. Maria della Seta
di Anzi105.
La cospicuità delle rendite
contribuì in molti casi a determinare
intorno ai santuari
intense situazioni di conflittualità.
Lunghissime le
controversie che si perpetuarono
ad esempio intorno
a quello di S. Maria di Pierno,
conteso fra i due principi
Doria e Caracciolo di Torella,
fra i due vescovi di
Muro Lucano e di Melfi, fra
le due università di Atella e
di San Fele106. Altrettanto
dicasi per altri santuari, tra
cui, per citare solo qualche
esempio, quelli dedicati a S.
Maria delle Grazie di Venosa
e di Saponara107.
Il clima di conflittualità
affondava non di rado le
sue radici anche in una particolare
caratteristica dei
santuari, in base alla quale
essi si venivano a configurare,
agli occhi dei fedeli, come
qualcosa di proprio e di
diverso dalla chiesa organizzata.
Al contrario delle parrocchie,
essi rappresentavano
i luoghi dello straordinario
e del festivo, strutture
non quotidiane ma periodiche
del sacro, luoghi di culto
imposti e sostenuti dalla
pietà dei fedeli e che occupavano
un posto a sé stante
rispetto alla complessa organizzazione
ecclesiastica.
La diversità dalla parrocchia
emerge in molte leggende
di fondazione, dove
si ripete il tema del simulacro
che, trasportato nella
chiesa del paese, torna miracolosamente
al luogo del
ritrovamento: si pensi a tal
proposito alle leggende di
fondazione dei santuari della
Gloriosa di Montemilone,
della Madonna del Pantano
di San Giorgio Lucano,
della Madonna d’Orso leo, della Madonna dei Fraticelli
di Carbone, del Sagittario
di Chiaromonte, di
Pierno e di Viggiano.
I laici, del resto, assai
spesso organizzati in confraternite108,
in comitati o
in gruppi informali di fedeli,
occupavano effettivamente
un posto di primo
piano nell’organizzazione
dei pellegrinaggi, nella gestione
delle feste, nella stessa
cura e manutenzione degli
edifici sacri109. Il ruolo
dei laici si accentuava quando
i santuari erano di giuspatronato
di famiglie benestanti
o delle università:
erano quest’ultime, allora, a
nominarne i procuratori
laici e i cappellani addetti al
servizio liturgico110.
All’iniziativa dei laici si
deve, d’altronde, il perpetuarsi
nel tempo di riti e
consuetudini codificati e
tramandati di generazione
in generazione. Particolarmente
interessanti, ad
esempio, quelle disciplinanti
il trasporto processionale
delle statue, all’interno
delle quali precedenze e
prerogative sono state sempre
rigidamente fissate111.
In diversi casi, un ruolo
particolare viene tuttora
svolto dalle donne, non di
rado protagoniste indiscusse
dei momenti più salienti
dei pellegrinaggi. Durante
la processione in onore della
Madonna del Pollino, ad
esempio, è prerogativa delle
donne procedere immediatamente
dietro la statua della
Vergine trasportando sulla
testa i ceri votivi112 mentre,
nel santuario del Sirino,
sono ancora le donne a restare
per tutta la notte in
chiesa pregando e cantando113.
Interessante il complesso
di riti e di pratiche
extra liturgiche aventi luogo
nell’area sacra: oltre a
quelli cui sopra si è già fatto
cenno, si pensi ancora alla
raccolta di erbe particolari
come i cosiddetti “capelli
dell’Angelo” o “della Madonna”,
ancora oggi documentata
nei santuari della
Madonna di Monteforte e
di S. Maria della Rupe a S.
Martino d’Agri; all’usanza
del trasporto di castelli di
candele, chiamati “cinti” o
“cente”, portati a spalla durante
le processioni e lasciati
nei santuari; alla deposizione
di vasi di grano appena
germinato sotto l’altare
della Madonna Grumentina;
all’usanza di toccare la
statua con rami e mazzi di
fiori raccolti nei pressi del
santuario e successivamente
portati a casa, documentata
ad esempio per i santuari di
Viggiano e del Sirino.
Le pratiche ed i riti in alcuni
casi hanno conservato
un carattere individuale, in
altri sono venuti esplicitandosi
in feste popolari coinvolgenti
intere comunità
locali. Ad Episcopia, nel
corso della festa in onore
della Madonna del Piano,
dopo le funzioni religiose, i
fedeli mimano la danza del
falcetto114. A Gorgoglione
ancora oggi la sera dell’11
giugno la statua della Madonna
del Pergamo viene
trasportata dal paese al santuario
su un carro trainato
da una coppia di buoi: il
giorno successivo, dopo le
funzioni religiose, ha luogo
l’innalzamento del “maggio”,
formato dalla congiunzione
del tronco di un
cerro con uno di agrifoglio.
A Brienza, durante la festa
del Ss. Crocifisso di settembre,
la processione che
scende dal monte si congiunge
in paese ad un’altra
processione partita dalla
chiesa madre con la statua
dell’Addolorata. Giunta
l’unica processione in piazza,
un ragazzo vestito da angelo,
a mezz’aria su un cavo
teso fra due palazzi frontali,
presenta al Crocifisso e alla
Madre gli strumenti della
Passione recitando versi115.
A San Costantino albanese,
durante la festa in onore
della Madonna della Stella,
ha luogo l’incendio di caratteristici
pupazzi in cartapesta,
i “nuzazit”116.
Il momento ludico e gioioso
ha avuto solitamente
un posto importante nella
parte conclusiva dei pellegrinaggi
vedendo coinvolte
in modo particolare le classi
più umili: non a caso in esso
è possibile riconoscere
tutti gli elementi tipici della
cultura popolare della festa117,
come l’importanza
data all’abbigliamento118, il
consumo di pasti abbondanti119,
il gioco e il divertimento120.
Attraverso la celebrazione
di riti accomunanti intere
comunità ha continuato ad
esprimersi, sia in epoca moderna
che in quella contemporanea,
l’antica funzione
di aggregazione sociale
che già in epoca medievale
aveva contraddistinto i
luoghi sacri. Funzione aggregante
che i santuari hanno
continuato ad esercitare
soprattutto in presenza di
forti fattori di dispersione e di disaggregazione sociale come l’emigrazione di massa
all’estero verificatasi tra
gli ultimi decenni del XIX e
la prima metà del XX secolo.
Il legame fra gli emigrati
lucani in America ed il proprio
santuario è rimasto
sempre forte e si è venuto
esplicitando in mille modi,
nelle generose offerte per il
restauro degli edifici sacri
nella madrepatria, come
nella costruzione, nella nuova
terra, di santuari filiati
dedicati alla propria Madonna
o al proprio santo121.
In questo complesso
mondo di riti e di simboli
l’autorità ecclesiastica ha
cercato più volte di inserirsi
tentando di incanalare le
manifestazioni di pietà del
popolo nelle forme ufficiali
della preghiera liturgica
della chiesa. Durante le feste,
sin dall’epoca moderna,
è spesso documentata
la presenza di numeroso
clero, impegnato nella celebrazione
di messe solenni
e nelle confessioni. Alla vigilia
della grande festività
della Madonna di Pierno,
ad esempio, il vicario foraneo
di San Fele era solito
chiedere al vescovo di Muro
la facoltà di confessare
per un certo numero di sacerdoti122.
Solo in rarissimi
casi si poteva registrare la
denuncia, da parte dell’autorità
vescovile, di consuetudini
ritenute pericolose o
di pratiche ritenute paganeggianti:
si pensi all’aperta
condanna suscitata dal
rito del “passaggio della
spina” praticato a Baragiano
durante la festa dell’Annunziata123.
Nel 1880 il vescovo
di Muro dava il permesso
di tenere aperto il
santuario di Pierno durante
tutta la nottata che precedeva
la festività, non senza
prima però aver esortato
i devoti ad attendere soltanto
alla glorificazione
della S. Vergine con inni,
cantici, litanie, ed altre
consimili devozioni; restando
assolutamente vietato
di mangiar quivi, dormire,
o far chiasso e baccano.
L’anno seguente il vescovo
interveniva nuovamente
per proibire la processione
della sera del 14
agosto, vigilia della festività,
a causa dell’ora tarda
in cui si svolgeva e che poteva
essere causa di confusione,
di disturbi, di risse, e
forse di altri anche più
enormi delitti.124 Del resto
le preoccupazioni dei vescovi
non erano senza fondamento,
come dimostrano
i frequenti casi di risse e
disordini scoppiati durante
i pellegrinaggi125.
Nella maggior parte dei
casi, però, l’atteggiamento
dell’autorità ecclesiastica è
stato sempre piuttosto positivo.
In una lettera indirizzata
nel 1883 a Roma,
diretta a far accordare le indulgenze a favore di chiunque
visitasse il santuario di
Pierno, il vescovo di Muro
Lucano, mons. Capone, riferiva
tra l’altro della devozione
dei paesi circonvicini
non solo ma anche lontani
a questa prodigiosa immagine
di Maria, da cui si ripetono
grazie e benefici
singolari…126 Altre volte,
ancora, i vescovi intervenivano
per legittimare la nascita
di nuovi santuari, non
di rado partecipando personalmente
ai pellegrinaggi.
Vescovi e papi, del resto,
spesso arricchirono i
santuari di preziose reliquie,
di indulgenze, o sancirono
l’autenticità di fatti
miracolosi127. La legittimazione
del culto trova la sua
massima espressione, fra la
fine del XIX ed il XX secolo,
nell’incoronazione di
molti simulacri per decreto
del Capitolo Vaticano e su
sollecitazione dei vescovi
locali.
Aliano - Santuario Madonna della Stella
Craco - Santuario Madonna della Stella
Ferrandina- Santuario Madonna dei Mali
Gorgoglione- Santuario Madonna del Pergamo
Grottole- Santuario Sant’Antonio abate
Matera-, Borgo Venusio- Santuario San Giovanni da Matera
Matera- Santuario di San Francesco di Paola
Matera- Santuario La Bruna
Matera- Santuario Madonna di Picciano
Matera- Santuario Santa Maria de Idris
Matera- Santuario Santa Maria della Palomba
Matera- Santuario Santa Maria della Vaglia
Pisticci- Santuario Madonna della Sanità del Casale
Santuario Santa Maria del Monte (Salandra)
Santuario Madonna del Pantano (San Giorgio Lucano)
Santuario Santa Maria la Beata (Stigliano)
Tricarico- Santuario della Madonna di Fonti
Tursi- Santuario Maria Santissima Regina di Anglona
Santuario Madonna di Monteforte (Abriola)
Santuario San Donato (Anzi)
Santuario Santa Maria della Seta (Anzi)
Santuario Madonna della Stella (Armento)
Santuario Madonna di Laudata (Atella)
Santuario S. Maria del Carmine (Avigliano)
Santuario Santa Maria di Costantinopoli (Balvano)
Santuario Santa Maria di Banzi (Banzi)
Santuario della Annunziata (Baragiano)
Santuario Madonna di Costantinopoli (Barile)
Santuario Madonna del Santissimo Crocifisso (Brienza)
Santuario Maria Santissima di Monte Saraceno (Calvello)
Santuario Santa Maria di Costantinopoli (Castelgrande)
Santuario Madonna della Neve (Castelluccio Inferiore)
Santuario Madonna del Soccorso (Castelluccio Superiore)
Santuario Santa Maria del Sagittario (Chiaromonte)
Santuario Madonna del Piano (Episcopia)
Santuario Santissimo Crocifisso (Forenza)
Santuario Santa Maria delle Grazie (Genzano di Lucania)
Santuario Madonna del Grumentino (Grumento Nova)
Santuario Madonna di Monserrato (Grumento Nova)
Santuario Santa Maria delle Grazie (Grumento Nova)
Santuario Madonna di Pergamo (Guardia Perticara)
Santuario Madonna del Sauro (Guardia Perticara)
Santuario Madonna di Sirino (Lagonegro)
Santuario Maria Santissima del Carmelo (Laurenzana)
Santuario Madonna dell’Armo (Lauria)
Santuario Maria Santissima del Principio (Lavello)
Santuario di San Biagio (Maratea)
Santuario Madonna di Fatima (Maratea)
Santuario Madonna di Costantinopoli
(Marsico Nuovo)
Santuario Madonna del Vetere (Moliterno)
Santuario Santa Maria della Gloriosa (Montemilone)
Santuario Madonna di Capodigiano (Muro Lucano)
Santuario Madonna di Sovereto (Nemoli)
Santuario Maria Santissima del Belvedere (Oppido Lucano)
Santuario Madonna di Montemauro (Pescopagano)
Santuario Madonna del Pantano (Pignola)
Santuario San Michele (Pignola)
Santuario San Donato (Ripacandida)
Santuario Santa Maria di Montauro (Sarconi)
Santuario Maria Santissima del Monte Pierno (San Fele)
Santuario Sant’Angelo al Raparo (San Chirico Raparo)
Santuario Madonna della Stella (San Costantino Albanese)
Santuario Madonna della Rupe (San Martino D’Agri)
Santuario Maria Santissima del Pollino (San Severino Lucano)
Sant'Arcangelo- Santuario Santa Maria di Orsoleo
Satriano di Lucania- Santuario Madonna delle Grazie
Tito- Santuario Madonna del Monte
Tito- Santuario Madonna del Carmine
Tolve- Santuario San Rocco
Trecchina- Santuario Madonna dei Miracoli
Trecchina- Santuario Maria Santissima del Soccorso
Vaglio di Basilicata- Santuario Madonna di Rossano
Venosa- Santuario Madonna di Montalto
Venosa- Santuario Santa Maria delle Grazie
Venosa- Santuario Santissima Trinità
Viggiano- Santuario Madonna del Sacro Monte
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