27 feb 2012

Risorgimento malato: una rivoluzione apparente

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QuotidianodellaBasilicata 27/02/2012
Il Quotidiano della Basilicata, domenica 26 febbraio,  e un articolo sul  Risorgimento che definisco malato e incompiuto. Spunti anche sul mito del brigante e su una rivoluzione passiva

Ecco l'articolo:
Se è vero che nomina sunt consequentia rerum, il nome risorgimento è conseguenza di cosa? Della rinascita dai tempi bui post-restaurazione e di liberazione delle genti italiche ? Un risorgere verso un nuovo e luminoso periodo?
Ma questa presunta lucentezza è sopratutto il riflesso di un grande poema epico composto da narrazioni, da racconti, da leggende, da imprese di grandi e piccoli eroi che hanno contribuito a creare il mito di fondazione della nazione/stato Italia.
Una storia/saga del Risorgimento tramandata con la volontà
e il disegno di costruire il culto della patria e che in seguito il fascismo non ha avuto intenzione di metterne in discussione i
valori e i sentimenti dell’amor patrio convertendoli in culto verso il regime e la nazione.
Con la fine della seconda guerra mondiale, l’Italia era alle prese con problemi maggiori di una rilettura e analisi critica del Risorgimento che per certi versi cementificarono e diedero forza ad un paese in macerie economiche e morali.
Oggi, però, a sentire o leggere alcuni revisionisti del risorgimento, sembra che il Regno delle Due Sicilie con i Borboni fosse una specie di Eldorado e che i briganti fossero dei combattenti/partigiani pronti al sacrificio supremo. E’ chiaro che l’unità d’Italia, non è stata un’unità in senso stretto del termine ma si è trattata di un’annessione … politicamente scorretta e i Savoia si sono comportati da conquistatori scatenando una guerra civile con atti di violenza inaudita che sono ancora una ferita aperta nella storia italiana; ma i Savoia si sono comportati, più o meno, come altri prima di loro.
Per sintetizzare un pensiero del lucano Carlo Alianello, autore del troppo spesso dimenticato L’eredità della Priora, lo stato sabaudo usò i territori invasi più o meno come avevano fatto i vecchi Viceré spagnoli, sfruttando il territorio conquistato fino all’osso e lasciando gli abitanti nei loro problemi atavici, semmai aggravati.
Ad alimentare la confusione, tra presunti buoni e presunti cattivi, contribuisce anche l’immaginario romantico del “brigante”, termine introdotto dai francesi nei primi dell’800 come sinonimo di banditismo. Il più celebrato tra i briganti è sicuramente il generalissimo Carmine Crocco del quale Raffaele Nigro dice : “Sarebbe potuto diventare un eroe positivo della storia, ma Crocco era un pastore che sapeva a malapena leggere e scrivere, un'idea precisa di quello che stava facendo non ce l'aveva”
Si descrive spesso di un brigantaggio come sinonimo di lotta partigiana contro l’invasore piemontese a difesa dei Borboni.
Un invasore desiderato visto che la realtà ci dice che i fantomatici Mille di Garibaldi nulla avrebbero potuto senza l’aiuto delle popolazioni locali e il volere delle potenti famiglie del tempo. Lo stesso Crocco, inizialmente, si aggregò ai garibaldini illuso dalle promesse delle terre per tutti.
Senza la collaborazione delle genti locali, i garibaldini avrebbero subito la stessa sorte del rivoluzionario Carlo Pisacane e dei suoi “ Trecento giovani forti e son tutti morti”, ammazzati dalla Guardia Nazionale nel 1857, nei pressi di Lagonegro, subito dopo lo sbarco a Sapri.
Il brigantaggio post-unitario reagì con violenza alle promesse tradite; i briganti vennero soprattutto usati come pedine dai latifondisti agrari e dalla nobiltà meridionale per ottenere vantaggi e mantenere antichi privilegi che il nuovo stato unitario sembrava volere eliminare. Il brigante Crocco nelle sue memorie scrisse a proposito: "...Che le plebi ammirassero e amassero Angiolillo, è naturale; ma alquanto strano può sembrare ch’egli destasse simpatie anche nella classi colte… ch’egli presentava, del tipo del buon ladrone, del brigante umanitario...”
Quando la grande borghesia agraria capì che nulla sarebbe cambiato abbandonarono i briganti al loro destino di delinquenti e ricercati.
Ma il brigantaggio esisteva ben prima dell’arrivo dei piemontesi.
Nel periodo borbonico un personaggio che è stato parte dell’immaginario collettivo era il brigante Angiolillo, che da pastore divenne brigante per sfuggire alle ire dei padroni dopo che si era difeso da un soppruso. Un Robin Hood meridionale e rappresentazione di un banditismo sociale. Angiolillo venne così descritto da Benedetto Croce” 
E’ chiaro che il Sud ha subito danni, analisi superficiali, errori di visione e mediocri progettazioni ma immaginare che il tutto sia frutto di un sistematica volontà superiore (a nord di Roma) significa ancora sbagliare approccio e proiettare gli sbagli verso un colpevole esterno per giustificare una società fornendo e/o cercando vecchi alibi.
Nel risorgimento le migliori energie, gli ideali progressisti e di equità sociale, vennero frenati da forze conservatrici che tesero a salvaguardare una struttura sociale economica di stampo feudale e agrario, favorendo quella che Gramsci definì rivoluzione passiva.
La spinta delle forze progressiste rappresentate da Mazzini, Garibaldi, Ferrari, Pisacane, e altri promotori del Partito d’Azione, alla fine furono fortemente limitate dalle forze conservatrici.
Quella che in molti pensano sia stata una primavera dei popoli in realtà fu il paradosso di una rivoluzione, quella gattopardesca guidata da classi dirigenti già al potere, il cui maggior interesse era la conservazione dei diritti e dei poteri.
Una trasformazione che, in virtù dell’assenza di una borghesia illuminata, nei fatti rafforzò l’egemonia delle vecchie classi dirigenti preunitarie e vide l’assenza di riforme, sopratutto di carattere agrario, che desse una spinta innovatrice al meridione e al sistema economico.
Una rivoluzione risorgimentale meridionale che ebbe un vizio d’origine riconosciuto ultimamente anche dal Presidente della Repubblica Napolitano “Non esaltiamo retoricamente quello che fu 150 anni fa il punto d'arrivo, …ma riflettiamo anche su vizi di origine del nostro Stato nazionale, perpetuatisi e aggravatisi in determinate fasi dei successivi 150 anni”.
Per dirla come lo storico Giordano Bruno Guerriun battesimo diverso avrebbe fatto crescere meglio un’Italia che, dopo un secolo e mezzo, continua a portarsi dietro i malanni dell’infanzia
Il revisionismo storico è un dovere storico ma soprattutto morale e riscrivere la storia del Risorgimento non deve avere chiavi di lettura nostalgiche e partigiane a seconda ci si trovi a sud o a nord del Tevere. La migliore delle monarchie non vale una Repubblica. Share

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