Sud, la musica non cambia: toccata e… FUGA! November 8th, 2008 •
A pagina 14 del quotidiano “La Stampa” del 19 ottobre 2008, è riportata la lettera del sindaco di Milano, del presidente della Provincia di Milano, del presidente della Regione Lombardia, inviata al presidente del Consiglio Berlusconi. Letizia Moratti, Filippo Penati, Roberto Formigoni, dicono al Governo: «Basta regali al Sud».La lagnanza prende a spunto gli stanziamenti che l’esecutivo ha deciso in favore di Roma e Catania, “per risanare i deficit prodotti da anni di cattiva gestione amministrativa”, (così dicono), delle due città.Certamente i ripiani dei risanamenti dei debiti delle amministrazioni, dovrebbero essere sottoposti ad una legislazione più responsabile e seria, dove chi
sbaglia, e mi riferisco agli amministratori, ai responsabili degli uffici preposti alla spesa ed al controllo della stessa, ai revisori dei conti, ognuno per la propria parte dovrebbe risponderne in solido.Invece per il “BASTA REGALI AL SUD”, i lettori devono essere informati correttamente e con “onestà”.Bisognerebbe studiare la storia dell’unità d’Italia dal 1861 ad oggi, non quella dettata dai Savoia, da Cavour e loro sodali, (anche meridionali), ma quella indagata e scritta negli ultimi anni da storici non al “soldo” di potentati di nessun genere, per riscoprire la verità sullo sfruttamento, le razzie, lo spogliamento di beni e risorse economiche che il Sud ha subito dai signorotti del Nord.Per fare qualche esempio, scrive Michele Vicino, in “Primati del Regno di Napoli”, dal 1840 al 1860 gli addetti nel settore metalmeccanico erano 1.600.000 contro 1.200.000 nel resto d’Italia. Ferrovie, battelli a vapore, ponti in ferro (1833: fu inaugurato il primo in Europa, sul Garigliano). La navigazione era efficiente. Il Governo borbonico promulgò per primo in Italia il Codice marittimo. La flotta mercantile era seconda sola a quella inglese. La flotta militare era terza dopo quella inglese e francese. Cantieri navali lavoravano a pieno ritmo, e le maestranze specializzate (maestri d’ascia, carpentieri, velai, ecc.) erano molto richiesti anche dall’estero.Fu organizzata la prima crociera turistica. Si svilupparono le compagnie di assicurazione.Nella conferenza internazionale di Parigi del 1856 al Regno delle Due Sicilie fu assegnato il premio di terzo paese nel mondo (e primo in Italia) per lo sviluppo industriale dopo Inghilterra e Francia.Gli operai lavoravano otto ore al giorno. Era stata introdotta, prima volta nel mondo, la pensione con ritenuta del 2 per cento su stipendi e salari.Domenico Demarco e Francesco Saverio Nitti, testimoniano nelle loro pubblicazioni la solidità del sistema finanziario del Regno delle Due Sicilie.Nel 1861, il tesoro italiano era costituito da 668 milioni di lire oro: di questi, 443 provenivano dall’ex Regno delle Due Sicilie, mentre soltanto 8 dalla Lombardia (padania…). Nel 1860, la Borsa di Parigi, allora la più importante nel mondo, aveva quotato al 120 per cento, cioè la più alta tra tutti Paesi, la rendita dello Stato borbonico. Nel 1860 il debito pubblico del Piemonte ammontava a oltre un miliardo di lire dell’epoca (esattamente: 1.159.970.595 lire e 43 centesimi e doveva pagare ogni anno 57.561.532 lire e 18 centesimi di interessi).“…Il tesoro del Regno delle Due Sicilie rinsanguò le finanze del nuovo Stato, mentre l’unificazione gravò la situazione dell’Italia meridionale, in quanto il Piemonte e la Toscana erano indebitate sino ai capelli ed il regno sardo era in pieno fallimento. L’ex Regno delle Due Sicilie, sanò il passivo di centinaia di milioni di lire del debito pubblico della nuova Italia e, in cambio, il Meridione, oppresso dal severissimo sistema fiscale savoiardo, fu declassato quasi a livello di colonia. Con l’unificazione, a Napoli, aumentarono le tasse, mentre i piemontesi videro ridotti i loro imponibili e con il denaro rubato al SUD poterono incrementare le loro industrie ed il loro commercio”. (Domenico Demarco, il crollo del Regno delle Due Sicilie, vol. I, La struttura sociale. - Napoli, 1993, pp. 53-82. Tutto questo e molto altro si può leggere in “Stato società e briganti nel Risorgimento italiano” di Ottavio Rossani (inviato speciale del “Corriere della Sera”), edito da“Pianeta Libro Editori”. Le conseguenze per l’accaparramento delle risorse del SUD furono drammatiche ed hanno segnato irrimediabilmente lo sviluppo del Meridione e continua ancora oggi!Il fenomeno migratorio degli italiani nel mondo è stato enorme, tanto che molti esperti affermano che un’altra Italia popola il pianeta.Tralasciando le emigrazioni dal 1861 al 1951, (quasi inesistenti prima del 1861!). L’esodo dal SUD al NORD e verso l’estero,(anni 50/60), il cosiddetto “miracolo economico”, fu la causa principale di uno sconvolgimento dell’economia e della società italiana. Il capitalismo italiano, in relazione ai centri di potere, alle scelte produttive, al mercato del lavoro ed al processo di accumulazione, mise in moto un meccanismo che trasformò il NORD in un area industriale avanzata e relegò il SUD ad un serbatoio di manodopera a basso costo.Il Prof. Giuseppe De Meo, nel suo studio e ricerca statistica, dal titolo: “Dualismo Sud-Nord e migrazioni”, pubblicato nel 1988 negli Atti dell’Accademia dei Lincei, attesta che nei tre decenni dal 1951 e il 1981, il Mezzogiorno aveva perso, al netto dei rientri, 4.598.000 unità della sua popolazione (153.000 all’anno in media). Di queste unità 2.555.000 si erano trasferite nel Centro-Nord e 2.043.000 all’estero. Il Prof. G. De Meo, inoltre, calcolò che, per gli oltre 2 milioni e mezzo di persone in età di lavoro cresciute nel SUD, il NORD risparmiò dal 1951 al 1981 per spese sociali 363.237 miliardi di lire! (fonte: “Le occasioni perdute” di Alessio Ambruso.- Ediz. Il Lavoro Lucano.La SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), nel rapporto 2007, ha quantificato in circa 270.000 unità il flusso migratorio delle persone che nel 2006, si sono trasferite dal SUD verso le regioni del Centro-NORD per motivi di lavoro; 120 mila hanno trasferito la loro residenza, mentre 150 mila si sono trasferite temporaneamente. Tale dato è prossimo al valore di 295 mila unità, che rappresenta il flusso migratorio medio annuo registrato nel triennio 1961-63.Ipotizzando per difetto, un calcolo economico sul costo di ogni giovane meridionale che ha trasferito la residenza, senza contabilizzare le residenze temporanee, il Sud ha conferito al Centro-NORD circa 24 MLD e 600 milioni di euro all’anno! Il conto economico è frutto di calcoli statistici certificati dall’ISTAT, (230 mila euro per ogni giovane dai 23 ai 25 anni), ed anche dalla Fondazione Centro Ricerche Economiche Angelo Curella di Palermo di cui il Prof. Pietro Busetta ne è il Presidente e che da anni si interessa anche dell’esodo biblico delle genti meridionali. Interessante è la ricerca di Margherita Scarlato e Mariano D’Antonio (Ordinari di Economia dello Sviluppo nell’Università di Roma Tre), sull’emigrazione, pubblicata nel quaderno n.10 della Svimez del 2007, dove attestano che negli ultimi 10 anni un numero di meridionali che oscilla tra 120 mila e 150 mila unità, ha abbandonato il SUD per trasferirsi nel Centro- Nord, alla ricerca di un impiego. Adesso proviamo a moltiplicare 24 MLD e 600 milioni di euro per 10 anni! Avremo 246 MLD di euro! Questi sono i regali al Centro-Nord che noi meridionali continuiamo a fare. Per dirla alla N. Vendola (presidente della Regione Puglia), si continua a rappresentare il Sud “come un insieme di criticità, mafie, sangue e indolenza. Abbiamo bisogno di ricostruire un punto di verità”.
sbaglia, e mi riferisco agli amministratori, ai responsabili degli uffici preposti alla spesa ed al controllo della stessa, ai revisori dei conti, ognuno per la propria parte dovrebbe risponderne in solido.Invece per il “BASTA REGALI AL SUD”, i lettori devono essere informati correttamente e con “onestà”.Bisognerebbe studiare la storia dell’unità d’Italia dal 1861 ad oggi, non quella dettata dai Savoia, da Cavour e loro sodali, (anche meridionali), ma quella indagata e scritta negli ultimi anni da storici non al “soldo” di potentati di nessun genere, per riscoprire la verità sullo sfruttamento, le razzie, lo spogliamento di beni e risorse economiche che il Sud ha subito dai signorotti del Nord.Per fare qualche esempio, scrive Michele Vicino, in “Primati del Regno di Napoli”, dal 1840 al 1860 gli addetti nel settore metalmeccanico erano 1.600.000 contro 1.200.000 nel resto d’Italia. Ferrovie, battelli a vapore, ponti in ferro (1833: fu inaugurato il primo in Europa, sul Garigliano). La navigazione era efficiente. Il Governo borbonico promulgò per primo in Italia il Codice marittimo. La flotta mercantile era seconda sola a quella inglese. La flotta militare era terza dopo quella inglese e francese. Cantieri navali lavoravano a pieno ritmo, e le maestranze specializzate (maestri d’ascia, carpentieri, velai, ecc.) erano molto richiesti anche dall’estero.Fu organizzata la prima crociera turistica. Si svilupparono le compagnie di assicurazione.Nella conferenza internazionale di Parigi del 1856 al Regno delle Due Sicilie fu assegnato il premio di terzo paese nel mondo (e primo in Italia) per lo sviluppo industriale dopo Inghilterra e Francia.Gli operai lavoravano otto ore al giorno. Era stata introdotta, prima volta nel mondo, la pensione con ritenuta del 2 per cento su stipendi e salari.Domenico Demarco e Francesco Saverio Nitti, testimoniano nelle loro pubblicazioni la solidità del sistema finanziario del Regno delle Due Sicilie.Nel 1861, il tesoro italiano era costituito da 668 milioni di lire oro: di questi, 443 provenivano dall’ex Regno delle Due Sicilie, mentre soltanto 8 dalla Lombardia (padania…). Nel 1860, la Borsa di Parigi, allora la più importante nel mondo, aveva quotato al 120 per cento, cioè la più alta tra tutti Paesi, la rendita dello Stato borbonico. Nel 1860 il debito pubblico del Piemonte ammontava a oltre un miliardo di lire dell’epoca (esattamente: 1.159.970.595 lire e 43 centesimi e doveva pagare ogni anno 57.561.532 lire e 18 centesimi di interessi).“…Il tesoro del Regno delle Due Sicilie rinsanguò le finanze del nuovo Stato, mentre l’unificazione gravò la situazione dell’Italia meridionale, in quanto il Piemonte e la Toscana erano indebitate sino ai capelli ed il regno sardo era in pieno fallimento. L’ex Regno delle Due Sicilie, sanò il passivo di centinaia di milioni di lire del debito pubblico della nuova Italia e, in cambio, il Meridione, oppresso dal severissimo sistema fiscale savoiardo, fu declassato quasi a livello di colonia. Con l’unificazione, a Napoli, aumentarono le tasse, mentre i piemontesi videro ridotti i loro imponibili e con il denaro rubato al SUD poterono incrementare le loro industrie ed il loro commercio”. (Domenico Demarco, il crollo del Regno delle Due Sicilie, vol. I, La struttura sociale. - Napoli, 1993, pp. 53-82. Tutto questo e molto altro si può leggere in “Stato società e briganti nel Risorgimento italiano” di Ottavio Rossani (inviato speciale del “Corriere della Sera”), edito da“Pianeta Libro Editori”. Le conseguenze per l’accaparramento delle risorse del SUD furono drammatiche ed hanno segnato irrimediabilmente lo sviluppo del Meridione e continua ancora oggi!Il fenomeno migratorio degli italiani nel mondo è stato enorme, tanto che molti esperti affermano che un’altra Italia popola il pianeta.Tralasciando le emigrazioni dal 1861 al 1951, (quasi inesistenti prima del 1861!). L’esodo dal SUD al NORD e verso l’estero,(anni 50/60), il cosiddetto “miracolo economico”, fu la causa principale di uno sconvolgimento dell’economia e della società italiana. Il capitalismo italiano, in relazione ai centri di potere, alle scelte produttive, al mercato del lavoro ed al processo di accumulazione, mise in moto un meccanismo che trasformò il NORD in un area industriale avanzata e relegò il SUD ad un serbatoio di manodopera a basso costo.Il Prof. Giuseppe De Meo, nel suo studio e ricerca statistica, dal titolo: “Dualismo Sud-Nord e migrazioni”, pubblicato nel 1988 negli Atti dell’Accademia dei Lincei, attesta che nei tre decenni dal 1951 e il 1981, il Mezzogiorno aveva perso, al netto dei rientri, 4.598.000 unità della sua popolazione (153.000 all’anno in media). Di queste unità 2.555.000 si erano trasferite nel Centro-Nord e 2.043.000 all’estero. Il Prof. G. De Meo, inoltre, calcolò che, per gli oltre 2 milioni e mezzo di persone in età di lavoro cresciute nel SUD, il NORD risparmiò dal 1951 al 1981 per spese sociali 363.237 miliardi di lire! (fonte: “Le occasioni perdute” di Alessio Ambruso.- Ediz. Il Lavoro Lucano.La SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), nel rapporto 2007, ha quantificato in circa 270.000 unità il flusso migratorio delle persone che nel 2006, si sono trasferite dal SUD verso le regioni del Centro-NORD per motivi di lavoro; 120 mila hanno trasferito la loro residenza, mentre 150 mila si sono trasferite temporaneamente. Tale dato è prossimo al valore di 295 mila unità, che rappresenta il flusso migratorio medio annuo registrato nel triennio 1961-63.Ipotizzando per difetto, un calcolo economico sul costo di ogni giovane meridionale che ha trasferito la residenza, senza contabilizzare le residenze temporanee, il Sud ha conferito al Centro-NORD circa 24 MLD e 600 milioni di euro all’anno! Il conto economico è frutto di calcoli statistici certificati dall’ISTAT, (230 mila euro per ogni giovane dai 23 ai 25 anni), ed anche dalla Fondazione Centro Ricerche Economiche Angelo Curella di Palermo di cui il Prof. Pietro Busetta ne è il Presidente e che da anni si interessa anche dell’esodo biblico delle genti meridionali. Interessante è la ricerca di Margherita Scarlato e Mariano D’Antonio (Ordinari di Economia dello Sviluppo nell’Università di Roma Tre), sull’emigrazione, pubblicata nel quaderno n.10 della Svimez del 2007, dove attestano che negli ultimi 10 anni un numero di meridionali che oscilla tra 120 mila e 150 mila unità, ha abbandonato il SUD per trasferirsi nel Centro- Nord, alla ricerca di un impiego. Adesso proviamo a moltiplicare 24 MLD e 600 milioni di euro per 10 anni! Avremo 246 MLD di euro! Questi sono i regali al Centro-Nord che noi meridionali continuiamo a fare. Per dirla alla N. Vendola (presidente della Regione Puglia), si continua a rappresentare il Sud “come un insieme di criticità, mafie, sangue e indolenza. Abbiamo bisogno di ricostruire un punto di verità”.
Fonte: Francesco De Angelis , il giornale lucano.