Il carnevale a Pomarico ha i colori e gli odori di molti altri, ma ha una musica che proviene da lontano, da un mondo apparentemente distante nel tempo e nello spazio.
A Napoli tra il 1500 e 1600 si diffonde "La canzone di Zeza". Dopo qualche decennio la sua rappresentazione viene proibita per le mordaci allusioni e per i detti troppo licenziosi e osceni.
Vietata a Napoli, La canzone di Zeza trova spazio in altre località e tra queste vi è anche la lontana Pomarico.
Nel periodo di carnevale, infatti, un gruppo di amici, rigorosamente uomini, si travestivano con costumi cari alla farsa napoletana e inscenavano tra le vie della città La canzone di Zeza.
La rappresentazione si basava su pochi personaggi Pulcinella e sua moglie Zeza, popolana arguta e licenziosa, da cui prende nome la rappresentazione, la loro figlia Vincenzella e un suo innamorato, lo studente don Nicola. e una vicenda semiseria imperniata sul classico matrimonio contrastato e risolto dal tradizionale “lieto fine”.
Gli attori si muovevano tra vie del paese, e qui tra gli slarghi, nelle piazzette , ai crocevia, davano inizio alla rappresentazione ben accolti da un pubblico che li seguiva di strada in strada e che non faceva mancare loro del buon vino da bere.
A volte la rappresentazione era accompagnata dalla musica di qualche strumento suonato da gente che si accodava agli attori e che tentava di accompagnare i toni e le impostazioni della voce dei protagonisti.
La farsa iniziava con Pulcinella che a voler rimarcare la unicità dello spettacolo al pubblico si rivolgeva così: “Signori, diamo inizio al nostro canto della Zeza ,
che negli altri comuni non viene esercitato.
Solo noi abbiamo avuto queste comodità,
a Pomarico che i nostri vecchi antenati avevano portato da Napoli.
Io Pulcinella vi voglio raccontare una bella storiella…”.
E la commedia aveva inizio, tratteggiando Pulcinella, padre geloso e contrario al matrimonio della figlia con don Nicola.
Matrimonio, invece, voluto da sua moglie, la intrigante Zeza che si opera in maniera tale da far incontrare sua figlia, Vincenzella, con lo spasimante affinché si scambino promessa d’amore. Su questo canovaccio si srotolavano una serie di battute e di doppi sensi che rallegravano gli spettatori.
Simbolicamente questa commedia riprende il momento di passaggio dall’inverno alla primavera, attraverso il ricambio vecchio-giovane, rappresentati da padre Pulcinella-genero don Nicola.
Pier Paolo Pasolini, con la consulenza di Ennio Morricone, riconobbe il valore e la particolarità della canzone di Zeza e la inserii come commento musicale nel film Il Decameron.
"Mentre scorrono i titoli, e poi subito ripresa in una delle prime sequenze, si ascolta la Canzone di Zeza, una cantata carnevalesca irpina del Settecento; più di una volta ricorre il motivo di Fenesta ca lucive, un classico della canzone napoletana dell’Ottocento; fu proprio il regista, con la consulenza del compositore Ennio Morricone, a ripescare questi brani dal repertorio popolare campano, per il commento musicale del film in questione, Il Decameron di Pier Paolo Pasolini, Orso d’argento al XXI Festival di Berlino del 1971. "
Fonte Pagine Corsare