27 mar 2009

I NUZASIT a San Costantino Albanese

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La festa più suggestiva di S.Costantino Albanese è quella della Madonna della Stella, che si celebra la seconda domenica di maggio, la cui statua viene portata tre settimane prima dal santuario alla chiesa madre in paese. In occasione di questa festa vengono preparati cinque pupazzi in cartapesta, i nusazit appunto (che alla lettera significa "sposini"), a grandezza naturale e raffiguranti una coppia in costume albanese, due fabbri e il diavolo. Il diavolo è raffigurato secondo la tradizione di S.Costantino, ossia con due facce, quattro corna, i piedi a forma di zoccolo di cavallo, la forca e la catena del paiolo, detta kamastra. I cinque pupazzi sono montati e messi in movimento da alcune ruote piene di petardi: i fabbri compiono l'atto di picchiare sull'incudine, gli altri personaggi girano su se stessi e alla fine scoppiano tutti. I nusazit vengono accesi all'inizio della processione, quando la Madonna esce dalla chiesa: dapprima viene dato fuoco ai due fabbri posizionati al centro della scena, poi all'uomo e successivamente alla donna nel tipico costume albanese, lo stullite; solo per ultimo tocca al diavolo. Dopo l'ultimo botto attacca la marcia della bande che accompagna la Madonna per le vie del paese: anche qui, come in molti altri paesi lucani e del sud Italia in genere, ragazze nubili precedono la statua portando sul capo piccoli castelletti di candele (gli scigl), chiedendo alla Madonna la propiziazione del matrimonio. Le donne al seguito della statua della Madonna intonano per tutta la processione preghiere in lingua albanese. L'ultima tappa della processione consiste nel riportare la Madonna nelle chiesetta in collina fuori dal paese. Un altro pupazzo di cartapesta, raffigurante un cavallo col cavaliere (kali), pieno anch'esso di petardi, viene trasportato con passo saltellante da un uomo al suo interno e infine acceso la sera della vigilia. L'usanza dei nusazit non è albanese, anche se gli albanofoni di queste terre gli hanno dato un nome nella loro lingua che ormai li identifica, ma si racconta che, a importare la tradizione, sia stato, in tempi ormai lontani, un emigrato di ritorno dal PollinoIn occasione della festa, la statua della Madonna della Stella viene condotta nella chiesa Madre. Il rituale prevede la preparazione di cinque fantocci di cartapesta, i "nusazit", che raffigurano: una coppia in abiti tradizionali albanesi, due fabbri e un diavolo bifronte. fonte: http://www.terredelmediterraneo.org/itinerari/s_costantino.htm Share

17 mar 2009

lucania dedicato a Scotellaro santilio

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" e la mia patria è dove l'erba trema"

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16 mar 2009

Lucania paesaggi di gianni santilio

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Gianni Santilio, lucano di Pisticci, (ma se non ho perso qualche suo passaggio, in questo periodo, dovrebbe risiedere a Torino) bravo fotografo, gioca con le luci e le atmosfere dei paesaggi lucani. Share

11 mar 2009

Bernalda e le storie di Palazzo Ammicc

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Questa leggenda narra di una famiglia ricca che abitava in un grande palazzo del centro storico di Bernalda. Nel palazzo ci vivevano altre famiglie,al piano terra c’era un grande atrio dove i bambini potevano giocare e dove gli abitanti dello stesso palazzo, per lo più contadini, vendevano ciò che coltivavano nelle loro campagne. Il proprietario non faceva pagare il fitto ma in cambio voleva che gli inquilini dell’edificio si occupassero dei suoi terreni. Prima di morire nascose tutto il suo oro in un posto segreto del palazzo. Si racconta che, per avere questo tesoro, nel quale c’era
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10 mar 2009

C'era una volta IL Carnevale a Montalbano

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Baffi di Carbone Carnevale, un tempo, lo sentivi arrivare tra le zaffate, della tramontana, con suoni, canti e grugniti di maiale. Ne era investito l’abitato e la festa andava per le lunghe prendendo parte del giorno dopo, quando con le prime luci dell'alba, gruppi di persone, dal passo incerto per le forti libagioni, mascherati con indumenti in disuso e baffi ricalcati con il carbone, cercavano di raggiungere la propria dimora. La serata era trascorsa a casa del compare che, prima restio ad aprire la porta, si era, poi deciso benevolmente dopo la cantilena «vegn a cantà vicin a stu purtone, iauziti patrune e piggh u buttigghione», accompagnata dal suono monotono del «cupa-cupa». La tavola era imbandita- nel paiolo il bollito con la verdura, sulla brace costate e fegato, nel tegame cotica con carne e spezie. Davanti ad ogni commensale la fiaschetta di vino novello, ottenuto da uve maritate» in giuste proporzioni, succo secco e profumato, spremuto dallo Zibibbo, dalla Malvasia, "Sangiovese e da una manciata di uva fragola per il tono frizzante. Una tavola pantagruelica, attesa per un anno e da raccontare sino all'anno nuovo, dove il salame prendeva il Posto d'onore non a caso ricordato dalla seconda strofa della cantilena carnevalesca: «Vegn a cantà vicino a stì pitrizzi, iauziti patrune e pigli u sauzizzi». L’ingresso ufficiale del carnevale coincideva con il 17 gennaio e con i riverberi dei falò accesi nei rioni in onore di S. Antonio Abate. La tradizione voleva, tra un misto di sacro e di profano, l'intercessione del santo protettore degli animali perché il «mal rossino» rimanesse fuori dell'abitato e il maiale crescesse sano con carni sode e rosee. Allora, accanto all'uscio di casa, addossato al muro, c'era il truogolo e il paletto al quale si legava il maiale per impedire che si allontanasse. Era lì che ingrassava: il grugno sempre nel pastone preparato con farina di granturco, ghiande ed erbe selvatiche carnose che, ancora oggi, crescono nei dirupi cretosi. Generalmente ogni famiglia allevava due maiali: uno perché in casa, per tutto l'anno ci fosse carne e condimento e il secondo per far fronte alle spese di locazione o per acquistare l'occorrente per vestirsi a nuovo. Con l'autunno, alla potatura, venivano ammucchiati i rami recisi abilmente dal contadino per rinnovare la pianta. Nei primi giorni di gennaio, gli arbusti venivano trasportati in paese e i grossi carichi di sterpi, tra tante difficoltà, venivano ammucchiati nelle piazze e nei larghi per essere dati alle fiamme nella serata del 17. Una folla di grandi e piccoli erano intorno alle fiamme che si elevavano sempre più alte, a superare i piani delle case circostanti ma soprattutto i falò degli altri rioni per conquistare il diritto di offrire a Sant' Antonio Abate il maialino dell'ultima nidiata. Veniva allevato un po' da tutti. Con le orecchie mozzate (segno di riconoscimento) poteva girare per le vie del paese e porre il grugno nel truogolo e saziarsi liberamente senza essere scacciato. Cresceva e dopo un anno veniva macellato con il carnevale e le carni distribuite ai poveri. Il fuoco aveva anche un significato di incontro. Man mano che le fiamme scemavano, si facevano largo e prendevano i primi posti, attorno al fuoco, i giovani. Era l'inizio di una gara di prodezze. Le ragazze erano in circolo, addossate alle mamme a nascondere le emozioni quando, con una breve rincorsa il giovane saltava attraverso le fiamme e, superando la brace ardente, tra un misto di viva partecipazione e di tremore da parte delle giovani donne, si trovava dall'altra parte. Nascevano così le prime simpatie che, sino all'anno nuovo, si mutavano in storie d'amore e i novelli fidanzata, all'accensione dei nuovi falò erano solo spettatori. A tarda sera la brace veniva portata in casa: entrava il calore e la benedizione del santo. L’indomani unica testimonianza del grande falò il selciato bruciacchiato: la cenere, alle prime luci dell'alba veniva riposta in sacchi, trasportata in campagna e sparsa tra le piante perché il frutto fosse abbondante e sano. Il Carnevale comunque pur nella sua semplicità rompeva la monotonia di giorni uguali, fatto di lavoro e di stenti e con un rimpianto profondo terminava e si accettava la Quaresima con un misto di contrasti, finendo però per osservare, con umile ubbidienza, questo periodo di astinenza e privazioni. Il giorno successivo alla «morte di Carnevale» nei vicoli, alle finestre, su un filo teso tra balconi, appariva «Quaremma»: una vecchia in gramaglie, ricavata da resti di stoffe, con lana e fuso, simboli di lavoro e sobrietà ed ancora peperoni secchi, una cipolla, un'aringa affumicata, quale monito alla frugalità ed alla parsimonia. Tradizione che affonda le radici nel mondo della mitologia perché c'è chi ritiene «Quaremma» una delle Parche che fila il filo della vita, stando sempre pronta a reciderlo. Quaremma la si accettava e con la sua presenza c'era l'osservanza alla moderazione, all'economia, al ritiro, alla purificazione del corpo e dell'anima. Cose che oggi fanno sorridere, ma allora avevano il loro fascino legato alla vita del tempo. http://utenti.lycos.it/slltt/Tamerici53.htm dal libro : Tamerici di Enzo Palzzo Share

4 mar 2009

Pietrapertosa e il carnevale

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A Pietrapertosa, paesino delle Dolomiti lucane, giunto alla notorietà per le attività che si svolgono in cielo e mi riferisco al volo dell'Angelo, esistono eventi tradizionali che si sviluppano sulla...terra, tra le vie del borgo. Uno di questi è il Carnevale con la sagra della Rafanata ( specie di frittata con la radice del rafano e pecorino).
Il martedì grasso i festeggiamenti si concludono con il processo al Carnevale che, punzecchiato dal Diavolo con il volto nerofumo e corna caprine, e rimpianto da sua moglie Quaremma, viene inesorabilmente condannato al rogo. La sagra della Rafanata, tortino tipico del carnevale a base di patate e rafano, chiude i festeggiamenti.
..."Durante il periodo di Carnevale gruppi di bambini girano per
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Cirigliano e il Carnevale

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A Cirigliano il corteo celebra la morte di Carnevale e la nascita del nuovo. Anche qui un suono assordante di campanacci introduce i festeggiamenti carnevaleschi: le strade si riempiono di figuranti in costume che sfilano, incarnando i mesi dell'anno. Questa rappresentazione, a metà tra il sacro ed il profano, affonda le sua radici nel medioevo, ed è molto sentita nella cittadinanza. La processione carnevalesca procede al suono di campanacci e tra lanci di coriandoli. La sfilata è aperta da pastori, simbolo della comunità locale, e da personaggi che, ricoperti dalle bianche vesti di improbabili e blasfemi preti, precedono con in mano una croce ed il teschio di un bovino. Emaciato e ben vestito il feretro di Carnevale, come ogni cadavere che si rispetti, viene trasportato a spalla per le vie del paese. Il personaggio, spesso impersonato da un giovanotto in carne ed ossa dal volto ‘infarinato’, e i suoi portatori non disdegnano, durante il trasporto, l'offerta di vino nuovo proveniente dai compaesani, vino che si stura proprio a febbraio. Segue la vedova di Carnevale, ‘Quaremma’, che urla e si dispera, ben sapendo però che il congiunto è già pronto per risorgere tra i festosi schiamazzi di coloro che non sanno rassegnarsi alla fine della festa. Al termine del corteo funebre, che saluta i lazzi carnevaleschi fino all'inverno dell'anno prossimo, un fantoccio di paglia prende il posto del figurante sul rogo; un rito propiziatorio per la stagione primaverile che sta per sopraggiungere affinché sia fertile e proficua per le campagne. A fine corteo c’è il riproporsi dell'offerta propiziatoria e, nell'avanzare della notte, i bagordi, prima dell'arrivo del mercoledì delle ceneri. Vedi le foto --> fonte: http://www.cirigliano.org/eventi.htm http://digilander.libero.it/clfanzine/Cirigliano.htm morte del Carnevale Share

2 mar 2009

Ferrandina e il carnevale...

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Il Carnevale ...a Ferrandina, non si è sviluppato, o è andato irrimediabilmente perduto; Le poche notizie che abbiamo di antiche celebrazioni ci sono fornite dal Canonico Don Nicola Caputi che, nel suo cenno storico su Ferrandina, pubblicato nel 1859 ricorda che alcuni “individui, con grosse chiazze nere sulla faccia, con cappelloni laceri e malconci sulla testa…” [...] "ballavano e bevevano nelle strade e che altri ben vestiti rappresentavano" [...] “qualche tratto di storia profana o di mitologia, eseguendo concerti di ballo e gettando confetti ai curiosi intervenuti…” E dallo stesso reverendo Salvatore Centola nel suo libro su Ferrandina, pubblicato la prima volta nel 1931, che richiama espressamente e brevemente l’usanza delle serenate. Anche se fa cenno ad una usanza del giorno delle Ceneri, in cui due fantocci imbottiti di paglia: uno rappresentante Carnevale morto e l’altro una vecchiaccia, la Quaresima, l’uno con a fianco un fiasco, peperoni, salacche ecc., l’altra con attrezzi da lavoro: fuso, conocchia, aspo, arcolaio… venivano sospesi ad una corda tesa nelle vie, ad ammonire che il tempo delle gozzoviglie è passato e che subentra il tempo dell’astinenza e della fatica. Tornando alle serenate: queste erano accompagnate dal cupa cupa, per le strade ed erano impostate su richieste di cibo in cambio del canto, anche in applicazione di una formula rituale ben precisa, che è quella della richiesta che non può essere evasa con un rifiuto che sarebbe una grave “mancanza” nei confronti della collettività. Nel canto si richiedono cibi preziosi, da tempi “grassi” appunto, come la salsiccia e la ricotta, ma non viene disdegnata l’annugghie, che è una sorta di salame più povero. fonte: http://www.associazionefinisterre.it/ferrandina/demartino_memoria_carnevale.htm Share