26 mag 2011

Racconti di un uomo allevato all'odore del mosto tra le terre di Basilicata

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Strada tra i pendi del Vulture

Erano gli anni di Alan Sorrenti e si era tutti figli delle stelle, del desiderio di una bella Harley Davidson su cui sfrecciare lungo la Basentana direzione Metaponto, io Jack Nicholson della lucania terrons che sognavo California. Erano gli anni delle giornate estive trascorse a sistemare i filari di viti che avrebbero dato, ''se Dio voleva'', il Vino buono.
Iniziai a bere col naso durante il rito autunnale della vendemmia che contava la partecipazione dei parenti e di pochi amici,
quello diventava anche il momento dei pettegolezzi di corte. In un paio di giorni si raccoglieva tutta l'uva, e poi la domenica la grande cerimonia. Le squadre si dividevano le competenze: cucina - cantina. Io aiutavo a misurare
il raccolto così da confrontarlo con la resa degli anni precedenti, un gioco nel gioco. Un rito al quale non avrei rinunciato per nulla al mondo, ci si preparava con settimane di anticipo contando le lune per imbottigliare il vino in quelle enormi damigiane di vetro impagliato. Un appuntamento romantico consumato nelle lande di uno spigolo di terra lucana. Durante le fatiche il vino scorreva generosamente per le giugolari, raggiungendo il fondo della propria vita, o bottiglia che dir si voglia, quando ci si sedeva a pranzare. Quando si era belli rossi con la voce più certa cominciava lo show, si formavano le squadre e si dava il via alla "morra"! Immancabile a quel punto lo zio con l'organetto, che allora trovavo davvero tamarro, ad accompagnare quelle sfide all'ultima goccia.
Ripensare a quei momenti è come affogare nel cuore del tempo, sino all’archetipo di un mondo e di un vino capace di restituire felicità immensa.
Solo negli ultimi anni della mia vita ho cominciato a bere i primi vini importanti, e inizialmente provavo una strana sensazione di colpa, quasi di tradimento verso il mondo che m'aveva cresciuto. Poi ho capito che così non era, che non stavo tradendo le mie radici, anzi, riprendevo tra le mani un percorso fatto solo di fatica per allacciarlo a quello della ricompensa in favore di quei contadini che con tenacia e sacrificio hanno allevato, vinificato, perfezionato e reso celebre quel Vino conosciuto come Aglianico del Vulture.
Le guide ve lo descriveranno come di origine Vulcanica, di colore rosso rubino, intenso, fruttato, abbastanza fresco, giustamente tannico, acido, di corpo, armonico, con l'invecchiamento acquista in finezza sprigionando profumi eleganti.
Invece io vi invito al gioco ed al viaggio che dalla terra d'Orazio vi porta sin dentro la casa di Giustino Fortunato e poi sotto i Castelli di Federico. Alzate gli occhi al cielo a guardare il volo del nibbio, respirate gli odori dei boschi, smarritevi per i tratturi che questa parte di terra conserva e ascoltate lo scorrere delle acque, sarete un po' briganti un po' forestieri. Ritmo, melodia, armonia come i madrigali di Gesualdo, tutto questo e altro ancora è l'Aglianico del Vulture.
Dunque, con innocente gratitudine a chi mi ha allevato all’odore del mosto, e alle terre dell'Aglianico brindo. Prosit e Serenità.

Wine_R 
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2 commenti to “Racconti di un uomo allevato all'odore del mosto tra le terre di Basilicata”

  • 26 maggio 2011 alle ore 17:23
    Lucia says:

    mi è piaciuto moltissimo il tuo post. Non so chi sei, ma sto mettendo tra i favoriti il tuo blog. Complimenti per la bellissima descrizione della nostra Lucania

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  • 26 maggio 2011 alle ore 17:44

    Grazie Lucia, colui che ha scritto questa descrizione è un apersona innamorata della vita e della basilicata. Amante della bella gente e della compagnia sincera. Riferirò di questi tuoi complimenti.

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