National Geographic Italia
di Enrica Simonetti
Sembra che sia stato tutto scritto dal destino. Petrolio e pozzi a Viggiano, in
Basilicata, dove da secoli si parla della Madonna nera, apparsa ai pastori grazie ad alcuni prodigi luminosi sul
Monte Sacro. Oggi, il volto scuro di quella Madonna ci fa pensare al nero del petrolio, e le luci che affiorano dalla sua vallata verde sono quelle dei tralicci bianchi illuminati, piccole torri Eiffel rumorose che segnalano le trivellazioni, i pozzi, la caccia all’oro nero che in Lucania si è scatenata a un ritmo velocissimo. Attraversiamo la
Val d’Agri guardandoci attorno stupefatti per i tanti contrasti. Pecore e pascoli da una parte, capannoni e perforazioni dall’altra. E poi vigneti, tanti vigneti o coltivazioni di fagioli e patate, alternati al grande oleodotto, alle reti dell’olio.
Lo chiamano olio il petrolio che viene estratto da questa terra, ricca e povera allo stesso tempo. Dicono che il giacimento valga 50 miliardi di euro e che sotto le terre selvagge di questo lembo di Mezzogiorno ci siano un miliardo di barili di petrolio. Ma si deve scavare a profondità notevoli, oltre 3-4.000 metri, sondare la qualità e la quantità di oro nero ed estrarre,“mungere” la Basilicata come si fa ancora per il latte dalle
mucche. «Siamo una terra colabrodo, non fanno che bucarci e il lavoro promesso manca ancora», protestano gli ambientalisti. Mentre il fronte politico-governativo-imprenditoriale replica: «Tutto falso: lo sviluppo e le risorse derivanti dalle royalties versate alla regione dalle compagnie petrolifere danno risultati concreti».
La Val d’Agri non è che un microcosmo, un esempio di ciò che accade nel resto d’Italia, dove 1.700 pozzi attivi rendono ogni anno quattro milioni di tonnellate di greggio. Non ci si deve far impressionare dalle cifre, che in realtà non sono molto significative. Basti pensare che questa produzione rappresenta solo il cinque per cento del fabbisogno nazionale. Ecco perché le compagnie petrolifere scalpitano: si deve estrarre di più.
Perciò si moltiplicano le richieste, anche al Sud, in zone turistiche (ma il progetto che riguardava il Basso Adriatico è stato bloccato dalle proteste) o dove si sperava di far nascere parchi nazionali. La Val d’Agri è da sola un piccolo parco in quell’Italia fatta di contadini, un’Italia del passato. Ora molti ex coltivatori lavorano per le imprese subappaltate dalle grandi compagnie petrolifere: «Ci pagano anche bene», dice Pietro, 42 anni, «ma è sempre un lavoro a termine». Accanto a lui, un dipendente che non vuole essere citato («Sennò questi mi cacciano») rivela che «la manodopera locale è assunta solo con contratti precari; i dipendenti fissi sono quelli delle multinazionali».
Verità e bugie, accuse e smentite. Sembra che attorno al petrolio aleggi una grande favola nera. C’è chi racconta della legge 99 del 2009, secondo la quale ogni cittadino lucano munito di patente (che si produce a fare il petrolio se uno va a piedi?) potrà ricevere direttamente a casa i ricavi delle royalties. C’è chi fissa questa cifra al tre per cento e chi parla di un aumento dal sette al dieci per cento. Fatto sta che mancano i decreti attuativi e che i ritardi burocratici rendono questi assegni dei veri e propri sogni. «Chi controlla le estrazioni del petrolio su cui si calcolano le royalties spettanti a noi?», rilancia l’instancabile Michele Somma, attivista del Comitato Lucano No Oil. Il presidente della Regione Basilicata De Filippo parla di un ufficio del ministero dello Sviluppo economico che farebbe da controllore; mentre sui ritardi, si afferma che tutto dipende dalla concertazione tra ministeri, perché i dati (ad esempio quelli sui cittadini muniti di patente) arrivano da ministeri diversi. Intanto il tempo passa. Nel frattempo nella Val d’Agri il suolo trema per le scosse delle trivellazioni. I soldi poi arrivano: il grande progetto è quello del parco dell’energia che sarà attivato a Grumento Nova, nel cuore della “Basilicata-Texas”, la terra del petrolio. Percorsi guidati, prove di veicoli a basso consumo, persino un padiglione enorme dedicato allo spettacolo, con cupola geodesica. Idee che fanno sgranare gli occhi in paesi in cui già il cinema o la libreria sono miraggi.
Certo, per tramutare i progetti in oggetti ci vuole un bel po’ e forse non è neanche colpa delle multinazionali. A Marsiconuovo, Comune e Regione si sono “accapigliati” sulla creazione di un Osservatorio ambientale da tempo promesso dopo un contratto di affitto per 30 anni siglato con l’Eni, ma seguito da inerzie e ritardi. Liti politiche e sedute di giunta infuocate. Alla fine, destra e sinistra si rimpallano accuse sul passato. Fatto sta che la gente continua a emigrare, nonostante i pozzi petroliferi dentro casa.
I figli dei contadini sono laureati e vanno a cercare posto (e/o disoccupazione) altrove: «Non è vero che il petrolio ci ha portato lavoro, andate a vedere cosa ci propongono di fare, si parla persino di lavori che durano 15 giorni», dice Stefania, la quale sostiene di adorare la sua terra «ma di essere costretta a lasciarla per sempre».
In realtà, molti paesini suggestivi ma pieni di nulla sono già da tempo abitati solo dai vecchi. Ma è giusto o no estrarre greggio in Lucania, la patria di Quinto Orazio Flacco, la terra pluricitata da Tito Livio e - in tempi più moderni - da Carlo Levi e dai nuovi registi? Il suolo baciato dal sole (dove si potrebbe ricavare tanta energia solare) pervaso dai boschi e dai pascoli? Non è facile dare una risposta immediata.
Ci possono aiutare a riflettere le ultime cifre sulle entrate di comuni e regioni: il calo del prezzo del petrolio e il rapporto euro-dollaro avrebbero anche dimezzato nel 2009 le royalties per le casse lucane, diventate 76 milioni di euro contro i 134 del precedente anno. Questo ci dicono i bilanci calcolati da Eni e Shell. Va bene, ci crediamo, vogliamo crederci. Ma, allora, se le cose stanno così, se si trivella e non si ricava tanto, ne vale la pena? E se ne vale la pena, è ora di chiedersi: chi ne beneficia?
National Geographic Italia (27 ottobre 2010)
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