24 mar 2011

Controcanto: in gravina con Saramago

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di Garrincha Piru
Josè Saramago

Visto che di Silvio e di "politica" non conviene parlarne, ho pensato fosse meglio fare un giro in Gravina. Si perché anche se molto poco frequentata (la scusa più gettonata è quella dell'odore), puzza a parte che poi, non è neanche sto tanfo insopportabile, l'altro giorno mi sono avventurato dentro questo squarcio che circonda i Sassi, con questo fiume che sembra correre all'incontrario. Ed è bello constatare e sperare solo nella pigrizia dell'uomo. Forse solo quella può preservare, quello che abbiamo, non fossi per i pastori (uomini anche questi, ma oramai quasi di un'altro pianeta) penso non ci sarebbero nemmeno i quasi comodi sentieri, per i quali mi sono aggirato. Guardarla Matera da quella immensa gola fa tutto un'altro effetto, ti riporta indietro nel tempo, ti fa sentire piccolo, ti fa ammirare i pastori nel loro pianeta. In mezzo a questa vegetazione piena di diversità seduto, vicino ad una inspiegabile chiesa rupestre, m'accorgo che sto leggendo sulla vita di Ricardo Reis che non esiste o si? Saramago cerca di raccontare cosa succede a lui dopo la morte di Fernando Pessoa, che sarebbe colui che ha creato il personaggio Ricardo Reis. Chi conosce Pessoa sa che Reis è molto più di un personaggio, è Pessoa, come Pessoa è Caieros e altri. Parlare di Pessoa e
Saramago è molto più piacevole e conveniente. Comunque tutto ad un tratto questo Ricardo Reis fa una riflessione che mi riporta al perchè sono venuto a farmi un giro in gravina: "Sono cosi i giornali, sanno parlare solo di ciò che è successo, quasi sempre quando è ormai troppo tardi per riparare agli errori, ai pericoli e alle mancanze, sarebbe un buon giornale quello che il primo gennaio del millenovecentoquattordici avesse annunciato lo scoppio della guerra per il ventiquattro luglio, allora avremmo potuto disporre di quasi sette mesi per scongiurare la minaccia, chissà, forse avremmo fatto in tempo, e meglio ancora sarebbe se fosse apparso l'elenco di coloro che sarebbero morti, milioni di uomini e donne a leggere sul giornale del mattino, con il caffelatte, la notizia della propria morte, un destino segnato da compiere, giorno, ora e luogo, il nome per esteso. Che farebbero sapendo che sarebbero stati ammazzati. Ricardo Reis abbassa il giornale, si guarda nello specchio, superficie due volte ingannevole perché riproduce uno spazio profondo e lo nega mostrandolo come mera proiezione, dove nulla accade davvero, solo il fantasma esteriore e muto delle persone e delle cose, albero che s'inclina sul lago, volto che in esso si cerca senza che le immagini di albero e di volto lo turbino, o lo alterino, o almeno lo tocchino. Lo specchio, questo come tutti, perché sempre restituiscono un'apparenza, è protetto contro l'uomo, davanti a lui non siamo altro che quel che in quel momento siamo, o siamo stati, come uno che prima di partire per la guerra del millenovecentoquattordici si fosse rimirato nell'uniforme che indossava, avesse guardato qualcosa più che se stesso, senza sapere che in questo specchio non si guarderà più, la vanità è anche questo, ciò che non dura. Cosi è lo specchio, sopporta, ma, se può rifiuta. Ricardo Reis ha distolto lo sguardo, cambia posto, gli dà, rifiutando, o rifiutato, le spalle. E magari lo rifiuta perché è specchio anche lui." Meglio veramente è fare in giro in gravina, meglio è Saramago, meglio è Pessoa e meglio è Reis, che forse non esiste. Meglio di cosa? neanche mi ricordo più. Share

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