E' un post intenso, una storia vera raccontata da Anna e suo padre Antonio, maestro elementare ormai in pensione, memoria storica di una comunità e sopratutto una grande persona.
E ringrazio Anna e suo padre Antonio per aver salvato questa storia dalle sabbie del tempo e della dimenticanza.
Pensando a loro mi viene in mente proverbio arabo che dice: "beato colui che riesce a dare ai propri figli ali e radici."
Ecco il post che Anna mi ha gentilmente permesso di pubblicare:
Durante l’inverno del ‘44 una vecchietta di circa settant’anni vendeva ai passanti di Piazza Garibaldi castagne arrostite.
Magra e smunta aveva predisposto a fornello d’occasione una vecchia latta sulla quale poggiava una padella appositamente forellata per le sue poche caldarroste, certo un’ originale attività per un paese del Sud.
La particolare foggia della padella con i suoi tanti fori diventeranno nel tempo, come spesso avviene nei piccoli borghi, oggetto di un detto che proferito a mò di minaccia in
occasione di liti accese e violente suonerà così:“ Tagghia fà u piett com a’ varola d’a Giacumb”.
“Zia” Grazia Venezia – così si chiamava la donna – raccoglieva di giorno piccoli pezzi di legno e arbusti rinsecchiti non molto più in là della sua abitazione e con questi alimentava un fuocherello flebile e stanco.
Era questa l’unica sua fonte di sostentamento di cui viveva in assenza del figlio Carmine partito per la guerra sul fronte russo.
Riusciva così a sopravvivere a stento nella fiducia che il figlio potesse rientrare a casa sano e salvo.
Quel semplice e doloroso barlume di speranza non avrebbe avuto – tuttavia – un riscontro positivo. Alla povera donna, proprio all’indomani della fine della
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