14 lug 2011

Viaggiatori nella Basilicata- 1877/78- E. Fittipaldi- medico e presidente del CAI

,
EMILIO FITTIPALDI
(12 LUGLIO 1877-15 GIUGNO 1878)
Ponte ferroviario. Monte Vulture
Nella seconda metà dell’Ottocento per recarsi da Potenza a Rionero in Vulture si percorreva “la strada carrozzabile” che conduceva ad Avigliano, salendo in vettura per il monte Carmine.
Fu quella la strada che Emilio Fittipaldi (1827-1909), medico e professore di storia naturale presso il Liceo Regio “Salvatore Rosa” del capoluogo e nella Scuola Tecnica, nonché vice-presidente della sezione lucana del Cai, percorse per recarsi sul monte Vulture il 12 luglio del 1877.
La descrizione dell’escursione è tutta giocata su un pittoresco discrettivismo, diversamente da altre
prove del medico di Pignola.
Così dal monte Carmine: “(…) Appena toccata la sommità di questo monte si scorge il Vulture con tutto il vasto altipiano disseminato di paesi, in mezzo ai quali esso sorge isolato ed imponente. Bello è il vedere da questa sommità la differenza dei due versanti, quello che guarda Potenza tutto interrotto in burroni,
alture, colline; l’altro delineato in lontananza da alte montagne che limitano al lato boreale il vasto altipiano intersecato dall’Ofanto. La vegetazione che appare stentata e riarsa sul primo versante, si mostra sul secondo rigogliosa, e densa.
Il monte Carmine stesso, nudo e solcato da profondi burroni sul primo versante, ha chine più molli dall’altro coperte di boschi di cerro. Da questo punto si scorge lontano il bosco di Lagopesole e un fabbricato colossale, che in tempi remoti fu splendida villeggiatura di Federico II, e in recente covo di briganti”.
La strada attraversava il borgo detto “li Frusci, un villaggio abitato da un gruppo di aviglianesi dai capelli biondi e dalla statura colossale” e, lambendo il tratto inferiore del bosco di Lagopesole, giungeva nella pianura di Atella “dove si incomincia a vedere il terreno men elevato, coltivato con cura e quindi ricco di una  vegetazione rigogliosa”. Per attraversare la vasta pianura della valle di Vitalba era necessario poco più di un ora”. Risalendo sino ad Atella, “cittadina monotona e silenziosa”, si giungeva a Rionero in Vulture per “campi ben coltivati in mezzo a’ quali si vedono ville murate e graziose case di campagna”.
Nella “piccola ma graziosa città” posta ai piedi del monte Vulture, dominata dal colore grigio dei fabbricati, si viveva in discreta operosità: “non vi è una sola casa imbiancata e tutte hanno l’aspetto di fabbricati arsi dall’incendio. Vi sono palazzine regolari, buone strade, una bella strada. Gli abitanti (…) svelti, intelligenti ed operosi amano la società, come può rilevarsi da molti segni (…). Un Casino Sociale riunisce un gran numero di abitanti: un Casino degli Operaj vive da molto tempo di propria vita ad attestare che anche questa
classe è a Rionero abbastanza colta (…) infine un teatrino grazioso e dei negozii che rivelano la vita attiva ed industriosa del paese”. Rionero costituiva “il miglior punto di partenza per una ascensione al Vulture”,
attraverso due “strade cavalcabili” che raggiungevano la base della montagna. La prima, che da Rionero andava per Sant’Antonio, passava sopra la fontana del Vulture e raggiungeva Tempa del Capraro. Da lì, abbandonata la vettura, era possibile salire a piedi a Serra San Michele. La seconda strada, partendo da Barile, costeggiava serpeggiando la valle di Baldassarre, congiungendosi alla Tempa del Capraio con la strada che saliva da Rionero, da dove, come detto, si raggiungeva a piedi Serra San Michele. Sul picco
della montagna era possibile ammirare un vastissimo panorama tra cui “la limpida superficie dei due magnifici laghi”, con la rigogliosa vegetazione che l’ adornava; infatti “ (…) in ogni screpolatura di roccia si alimenta una superba quercia un acero, od un faggio enorme”.
Così il Fittipaldi si esprime, in un crescendo di sensazioni e descrizioni, mentre scendeva verso i laghi craterici di Monticchio: “ (…) le mille ramificazioni di querce secolari, la calma profonda che regna in quella grandiosa vallata, vi tolgono la illusione e trasportano la mente in epoche remotissime, nelle quali il fenomeno dello sprofondamento dovette avvenire (…). Cominciando appena a discendere il versante occidentale di Serra San Michele, dopo pochi passi sarete immersi in una profonda oscurità (…). Discendendo sempre per
sentieri tortuosi e più o meno ripidi, arriverete ben presto al Monastero (…) (la cui) parte occidentale si eleva maestosa sui due laghi, che come tenerissimi specchi ne riproducono l’immagine (…). Da’ piani superiori del monastero che (…) giace nel fondo dell’imbuto prodotto dall’abbassamento del cratere, oltre che dei laghi, si gode la vista dei ruderi della famosa Badia de’ Benedettini, impiantata sull’istmo che divide i due bacini, e quella della sezione del bosco detto Mangusta dei faggi la Croce”.
E più avanti la stupita descrizione della foresta di Monticchio: “(…) dove credevate trovare un suolo arido e coverto di scorie, rinverrete un tappeto di semprevivi, di issopo fragrante, smaltato di margherite, di orchidee, di gigli, (…) mille ramificazioni di faggi e querce secolari”.
L’escursione nel bosco proseguì, “attraverso una carreggiata” da poco costituita, verso Capo Volpe e Piano della Ferriera, nella zona denominata Acqua Santa, dove sgorgavano in diversi punti dai crepacci “polle d’acqua” minerale ed erano state “costruite delle baracche in legno per alloggio dei bagnanti”.
Con enfasi il vice presidente del Cai affermava, sulla scia di quanto già scritto dal Pallottino, che con “un po’ di claque le acque minerali ferruginose di Monticchio” avrebbero potuto acquistare quella rinomanza che meritavano, specialmente se in luogo delle “capanne di legno abbastanza malfatte ed incomode e delle caricature di chalet” si fossero costruite “palazzine”, in modo da rendere “gradita quella dimora, ora poco salubre”, a causa delle acque stagnanti che  ne occupavano i valloni adiacenti. Nel fornire il quadro delle fatiscenti strutture esistenti suggeriva di utilizzare per il pernottamento i locali dell’abbazia di
San Michele Arcangelo, dove era possibile trovare “ottima accoglienza dal personale che la Società dei beni demaniali vi tiene”.
Il medico di Pignola taceva sulle vicende legate alla vendita del bosco di Monticchio, ritornato in possesso della “Società anonima per la vendita dei beni del Regno”, poiché si era in attesa di nuovi acquirenti, dopo il fallimento del “Credit Fondier Suisse”, che aveva finanziato l’acquisto della foresta per conto
della “Société civile des demanies de Monticchio”. La sorte del bosco di Monticchio, infatti, interessò enormemente il Ministro delle Finanze, Quintino Sella, propagatore e sostenitore, assieme al fratello Fausto, del Club Alpino Italiano e della valorizzazione delle montagne italiane.
Era proprio difficile che vicende giudiziarie legate alla foresta del Vulture potessero rientrare negli scritti odeporici del Fittipaldi o di  altri esponenti politici associati alla sezione lucana del Cai. Da contemporanei, avevano scelto di stendere un velo di silenzio sulla vicenda, analizzata invece dal senatore del Melfese
Floriano Del Zio, nella pubblicazione “Ferrovie dell’Aufido” prima che in quel collegio fosse eletto Giustino Fortunato. Gli scritti del Fittipaldi risultavano diretti, d’altra parte, ad escursionisti ed alpinisti, invitati a visitare la provincia lucana. Avevano lo scopo di documentare l’attività escursionistica svolta dai soci della sezione lucana del Cai.
Nella relazione su “Potenza e l’alto bacino del Basento” il Fittipaldi trattò anche la situazione del capoluogo regionale, descritto come luogo di “penitenza” o “di tirocinio per tutti gl’impiegati del Regno d’Italia”.
Popolata da ventimila abitanti, Potenza ne poteva contenere soltanto la metà, per la cronica carenza di alloggi che costringeva metà della popolazione alla coabitazione di due o tre famiglie nei “sottani” del centro storico, “senza fumaioli, senza acquedotti, senza finestre”. Anche le “case grosse con diversa prospettiva e poche palazzine” della Potenza borghese risultavano sovraffollate a causa del continuo afflusso della “popolazione forestiera” e numerose erano quelle abitate da “più di una famiglia”.
Al di là di un teatro “ormai bello, completo nelle decorazioni e negli attrezzi, ma sventuratamente deserto”, del Palazzo della Prefettura, del Liceo Ginnasio, della Scuola Tecnica, dell’Osservatorio Meteorologico, di cui il Fittipaldi era il responsabile, nulla avrebbero potuto trovare di significativo archeologi o artisti che fossero giunti a Potenza.
Da ciò l’invito agli alpinisti delle altre sezioni del Cai a visitare soprattutto le montagne dei dintorni del capoluogo: Arioso e Serranetta. In questo senso il Fittipaldi documenta anche una gita compiuta dai soci
della sezione lucana del Cai di Potenza, il 15 giugno del 1878.
Una comitiva composta da ventitre persone mosse dal capoluogo, con due carrozze, verso il monte Arioso, lungo la strada rotabile per Pignola.
Abbandonate le vetture nella “bella ed ubertosa pianura” situata “prima della salita di Castel Glorioso”, i soci del Cai, guidati dal presidente Francesco Lomonaco, si inerpicarono per sentieri scoscesi “chi in cerca di erbe e chi martellando l’unica pietra calcare disseminata a blocchi erratici e poi a strati”.
Giunsero alla “principesca casina di proprietà dei Lombardi” mentre si stava svolgendo una processione per invocare “la pioggia della quale le aduste campagne avevano bisogno”. Sotto i loro increduli occhi si rinnovava un antico rito religioso: “(…) Tutta la piccola popolazione del villaggio in folla veniva alla
nostra volta mandando grida e lamenti inintellegibili. Le donne coperte di una bianchissima tovaglia portavano sul capo una corona intrecciata coi rami della rosa canina, gli uomini scalzi come le donne avevano cinto i lombi di una grossa fune e col capo nodoso di essa si percotevano senza posa le spalle, i fanciulli che precedevano la comitiva facevano coro ai lamenti degli altri: per un momento credemmo che venissero a scongiurarci per farne stare lontani dalle loro case; poi intravedemmo che si trattava di una processione di penitenza come la dicono questi poveri illusi”.
L’escursione compiuta tra i monti Arioso, Fagosella e Serranetta, fruttò al professore Davide Console una raccolta di piante, da lui successivamente classificate.
Alcuni membri della comitiva rientrarono a Potenza mentre altri, il giorno dopo, si inoltrarono sino a Piano Capriolo “coperto da una vegetazione stupenda, lussureggiante”. Lì l’acero si alternava a faggi secolari ed a querce rigogliose, mentre altre piante, tra cui cornioli, peri e meli, assieme ad arbusti e rampicanti
rendevano fitto ed impraticabile il cammino, se non per “sentieri aperti a colpi di scure”.
Mirando la conca valliva sottostante Castel Glorioso, descriveva così il Lago di Pignola: “(…) uno stagno che occupa un’area di circa 600 moggia, tutto coperto ed invaso da canne palustri e da giunghi”. Importanti sono i particolari annotati dal Fittipaldi, tra cui la segnalazione della presenza della lontra:
“Diversi canali vi si aprono naturalmente profondi ed un emissario ne scarica le acque nel Basento. Popola questo stagno una miriade di tinche e di grosse anguille le quali, saporitissime, hanno però il mal d’odore proprio dei pesci degli stagni; vi si trova pure numerosa la lontra (Lutra vulgaris), la quale facendo
delle apparizioni sul terreno asciutto, è spesse volte uccisa dai coloni che dimorano nei terreni adiacenti”.
Come in numerose altre parti d’Italia anche in Basilicata ci si accaniva nei confronti di questo mustelide da parte dei cacciatori, riducendone drasticamente il numero. Il suo areale di diffusione sarà continuamente ristretto e minacciato da ulteriori interventi antropici con la modifica del regime dei corsi d’acqua, la captazione delle sorgenti, la bonifica di stagni e paludi, la cementificazione dei fiumi, la deforestazione selvaggia, inficiandone seriamente la sopravvivenza.

EMILIO FITTIPALDI, Una giornata sul Vulture (12 luglio 1877), in AA.VV., Annuario della
sezione lucana del Cai, aa. 1878-1881, Tip. Magaldi e Della Ratta, Potenza 1881, pp. 240-
250; Potenza e l’alto bacino del Basento, cit., pp. 1-31. GIUSEPPE SETTEMBRINO, Il lago
di Pignola, Tip. Alfagrafica Volonnino -WWF, Lavello (PZ) 1990.


fonte :
VIAGGIATORI IN BASILICATA (1777-1880), pubblicazione a cura del CONSIGLIO REGIONALE DELLA BASILICATA
a cura di Giuseppe Settembrino Michele Strazza Share

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