il numero 1 di TERRITORIO in una libreria |
In vari articoli e interventi sulla Basilicata ritornano parole chiavi che confondono quei lettori che mai hanno percorso le strade lucane. Sono termini che rimandano ad un senso di isolamento, solitudine, vuoto. Un vuoto che fa percepire l’incontro con altri uomini come un fatto eccezionale. Percezioni proiettate verso un
territorio, unico e particolare, interpretato come un grande eremo naturale.
“Terra strana ed estranea. Sembra
di essere sulla Luna, sulle Montagne Rocciose e comunque lontano da casa. E non è un sensazione sgradevole. Un po’ perché dovunque vai sei sempre accolto da un sorriso amichevole, da italiano d’altri tempi, un po’ perché è proprio difficile incontrare qualcuno” è così definita la Basilicata da Focus-n 212, del giugno 2010, oppure da Repubblica del 16/09/10 che scrive: “E quel senso di intatto e sconfinato” o dal giornalista olandese Henk de Boer del Reformatorisch Dagblad, che in visita in Basilicata dice: “le strade deserte sembrano essere popolate dai fantasmi, ma non è così.”
Appare ai più una terra vuota. Tutt’altro! Si ritrova in questi spazi il concetto aristotelico in cui la natura aborre il vuoto. E lo riempie di silenzi incorniciati in scenari trascurati dalla modernità umana.
Ci si imbatte in una contrapposizione, individuata e descritta da Sinisgalli, tra una realtà, quella lucana, che sfiora il mito con il suo apparente immobilismo e il mondo fatto di macchine e congegni. Ma più di tutto è il senso vuoto e il basso carico antropico dei territori lucani che meraviglia gli occhi estranei.
Quelle strade deserte abitate da fantasmi, quel continuum impercettivo tra borgo e elemento ambientale in cui la presenza umana è discreta. I campi coltivati, gli orti, i giardini, le masserie e i boschi, i grandi spazi aperti, disegnano una simmetria tra coltivato e naturale, tra costruito e spontaneo in cui convivono la Natura Naturans e Natura Naturata.
I borghi, le strade, i campi, le vallate, i boschi comuni nel panorama lucano diventano la sfida alla contemporaneità e al suo Horror Pleni..Un Horror Pleni, che genera inquinamento e overdose acustico, uditivo e sensoriale, produttore di confusione e disorientamento capaci di annientare la volontà personale della gestione del tempo e degli intervalli. Avvolti e sopraffatti dal rumore questo territorio, diventa il rimedio, con il suo senso di intatto e sconfinato. Un territorio e il suo vuoto che non è quell’horror vacui, in cui la paura del nulla, del luogo non abitato, della foresta, corrispondente occidentale del deserto, invadeva gli uomini nel medioevo.
E’ un vuoto colmo di silenzio e ritmi biologici, in cui anche il tempo smarrisce il suo senso storico e lineare, basato su date, numeri, orari, e preferisce il tempo circolare, in cui le feste, gli avvenimenti liturgici e rituali ritornano ciclicamente, scanditi da intervalli.
Gli spazi dell’ horror vacui si delineano, così, in iperluoghi consigliando una fuga dalla sub-modernità e trasformandosi in rifugio dall’aggressione dei Non-Luoghi, perché qui in Basilicata, come dice un articolo di Repubblica, c’è sempre qualcuno che ti accoglie e ti sorride.
E magari ti ascolta.
E lentamente, lo spazio si riempie di narrazione e l’ascolto diventa un’arte che afferra i racconti appena sussurrati per non disturbare il vuoto, che, in questi luoghi, abbraccia severamente.
Giuseppe Melillo
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