30 dic 2008
27 dic 2008
22 dic 2008
Alcune leggende del Natale in Basilicata / Lucania
Albano di Lucania e le sue storie
12 dic 2008
Il castello di Cancellara e le su storie
Irsina su Sereno variabile
http://www.youtube.com/watch?v=9mfQdbB6ciU&feature=related
1 dic 2008
Palla a due
27 nov 2008
Montescaglioso e il carnevale
@Giuseppe Melillo 2007
Guarda un video.... Dal web: Il Carnevalone di Montescaglioso nasce soprattutto dalla cultura dei massari e dei braccianti. Anticamente i costumi erano realizzati con pelli di animali, ma la festa Si è evoluta insieme al mondo contadino. Si è utilizzata la tela di canapa, di juta e poi anche la plastica dei sacchi per le sementi del grano, ora, invece, carta, cartoni, stoffe di vestiti in disuso. Il Carnevalone come la natura ricicla quasi tutto. All'alba del martedi grasso, ha inizio il lungo rito della vestizione. Il gruppo ha precise figure e gerarchie. Apre la parca che rotea il lungo fuso tra le gambe della gente: simbolo della ruota del tempo che gira e della morte che prima o poi arriva. Guai a farsi colpire. Seguono i portatori dei campanacci più grossi, sbattuti con l'ausilio del ginocchio. La tetra figura della "Quaremma", vestita di nero e con in braccio un neonato. La carriola con il Carnevalicchio in fasce, ove depositare le offerte in natura. La sposa di Carnevalone, più o meno sguaiata, ferma tutti e chiede offerte in natura e danaro: serviranno a fare crescere il Carnevalicchio ma in realtà a fornire materia prima per la cena e l'Ubriacatura notturna. A ruota libera e con i campanacci più piccoli, tante figure sempre suggestive in costumi ogni anno diversi. Si accetta ogni offerta: pane, finocchi, pasta, dolci, frutta, vino e salsiccia. Chiude il corteo il vecchio e massiccio Carnevalone. Intabarrato in un mantello nero, in testa un cappellaccio, cavalca un povero asino. è conscio che nella notte schoccherà la sua ultima ora. Non parla ma accetta tutte le offerte. Sulle spalle di Carnevalone, sui fianchi o sulle chiappe dell'asino, qualche cartello con gocce di saggezza contadina condite da aspre critiche, sempre sgrammaticate (Carnevalone non ha avuto tempo per studiare), rivolte per lo più a politici e pubblici amministratori. Il governo è ladro, le tasse sono alte, il padreterno non dà pioggia, l'annata è andata male!A fine mattinata si fa la conta degli incassi in denaro e natura. Ci si prepara alla lunga notte sacrilega che già appartiene alla Quaresima. A notte avanzata nel pieno del carnevale rocchettaro, compare il funerale di Carnevalone. Un fila di preti e frati esaltati precede il feretro di Carnevalone portato a spalla dagli amici disperati e seguito dalla vedova allucinata che in grembo porta già Carnevalicchio. Il corteo si fa largo tra la folla e in piazza il feretro è bruciato, mentre la consorte dell’estinto partorisce Carnevalicchio. A mezzanotte in punto dal campanone della Chiesa Madre, partono 40 lugubri rintocchi che segnano l'inizio della Quaresima. Inizia la penitenza, la festa è finita, ma Carnevalicchio è già nato e pronto per la prossima annata. Nel giorno dopo, il mercoledi delle ceneri, nei vicoli già compaiono le sette figure della "Quaresima" appese ad una corda per ricordare a tutti gli obblighi del buon cristiano per la Pasqua che è vicina. Ma questa è un'altra festa. Le figure ed i simboli del Carnevalone di Montescaglioso Nel Carnevalone di Montescaglioso, espressione tra le più sentite della identità locale, sono presenti figure giunteci quasi intatte dal passato e comuni anche ad altre manifestazioni analoghe. Il Carnevale celebra i riti propiziatori della fertilità e del risveglio della natura e le figure tradizionali dell’evento rimandano a simboli arcaici provenienti dal mondo greco-romano e medievale. Nel corso degli anni il corteo di Carnevale si modifica e cambia per vie misteriose, conservando, però, la memoria di figure ben codificate che ogni generazione consegna alla successiva. Ed ecco le figure le più importanti. Carnevalone: il vecchio destinato a finire sul rogo per propiziare il nuovo ciclo stagionale. Carnevalicchio: l’anno nuovo e i riavvio del ciclo naturale. Sarà partorito durante il rogo di Carnevalone. La Quaremma: moglie di Carnevalone. La malannata, il digiuno, la penitenza. ‘U fus’: figura di origine greca. Tesse e regge il filo del destino e della vita. La femmina prena: altra raffigurazione della moglie di Carnevalone. Il nuovo che preme. Chiede le offerte per Carnevalicchio. La carriola: l’offerta chiesta per Carnevale con Carnevalicchio disteso nella carriola. ‘U zembr: il caprone, ovvero il demonio o meglio ancora le forze primordiali della natura. I campanacci: sbattute da maschere coloratissime per scacciare il malanno o forse per ricordare il ritorno delle greggi e delle mandrie. Il Cucibocca: per ricordare l’imminente arrivo della Quaresima. I cortei nuziali (‘u zit e la zit’): il corteggiamento, lo sposalizio e le danze in cerchio. Un altro rito propiziatore della fertilità della terra. Il medico, il frate, ‘u mamon’: i personaggi che accompagnano Carnevalone al rogo ed assistono la vedova nell’atto di partorire Carnevalicchio sulla pubblica strada. fonte: http://www.carnevale.montescaglioso.net/carnevalone.html
Pomarico: la canzone di Zeza e il carnevale
A Napoli tra il 1500 e 1600 si diffonde "La canzone di Zeza". Dopo qualche decennio la sua rappresentazione viene proibita per le mordaci allusioni e per i detti troppo licenziosi e osceni.Vietata a Napoli, La canzone di Zeza trova spazio in altre località e tra queste vi è anche la lontana Pomarico.
Nel periodo di carnevale, infatti, un gruppo di amici, rigorosamente uomini, si travestivano con costumi cari alla farsa napoletana e inscenavano tra le vie della città La canzone di Zeza.
La rappresentazione si basava su pochi personaggi Pulcinella e sua moglie Zeza, popolana arguta e licenziosa, da cui prende nome la rappresentazione, la loro figlia Vincenzella e un suo innamorato, lo studente don Nicola. e una vicenda semiseria imperniata sul classico matrimonio contrastato e risolto dal tradizionale “lieto fine”.
Gli attori si muovevano tra vie del paese, e qui tra gli slarghi, nelle piazzette , ai crocevia, davano inizio alla rappresentazione ben accolti da un pubblico che li seguiva di strada in strada e che non faceva mancare loro del buon vino da bere.
A volte la rappresentazione era accompagnata dalla musica di qualche strumento suonato da gente che si accodava agli attori e che tentava di accompagnare i toni e le impostazioni della voce dei protagonisti.
La farsa iniziava con Pulcinella che a voler rimarcare la unicità dello spettacolo al pubblico si rivolgeva così: “Signori, diamo inizio al nostro canto della Zeza ,
che negli altri comuni non viene esercitato.
Solo noi abbiamo avuto queste comodità,
a Pomarico che i nostri vecchi antenati avevano portato da Napoli.
Io Pulcinella vi voglio raccontare una bella storiella…”.
E la commedia aveva inizio, tratteggiando Pulcinella, padre geloso e contrario al matrimonio della figlia con don Nicola.
Matrimonio, invece, voluto da sua moglie, la intrigante Zeza che si opera in maniera tale da far incontrare sua figlia, Vincenzella, con lo spasimante affinché si scambino promessa d’amore. Su questo canovaccio si srotolavano una serie di battute e di doppi sensi che rallegravano gli spettatori.
Simbolicamente questa commedia riprende il momento di passaggio dall’inverno alla primavera, attraverso il ricambio vecchio-giovane, rappresentati da padre Pulcinella-genero don Nicola.
Pier Paolo Pasolini, con la consulenza di Ennio Morricone, riconobbe il valore e la particolarità della canzone di Zeza e la inserii come commento musicale nel film Il Decameron.
Breve cronologia medievale della Regione Basilicata
19 nov 2008
Che nome ha la terra in cui siete nato?
11 nov 2008
Storie dal/del Sud
2 nov 2008
Giù le mani dalla Basilicata
28 ott 2008
Pasolini in Lucania su Repubblica
A distanza di più di quarant'anni dal film di Pier Paolo Pasolini "Il Vangelo secondo Matteo" Giovanna Gammarota è andata in quei luoghi dell'Italia meridionale che il regista scelse per ambientarvi la vita di Gesù. Nasce così "Sopraluoghi in Lucania. Sulle tracce del 'Vangelo secondo Matteo' di Pier Paolo Pasolini", la mostra fotografica (dal 30 ottobre al 28 novembre 2008 alla Sala Santa Rita di Roma), che racconta in 35 fotografie scattate nel corso del 2006 la particolare esperienza artistica vissuta dalla Gammarota. Ciò che l'ha spinta a seguire le tracce del "Vangelo" non è stato il desiderio di mostrare le bellezze dei paesaggi ma il bisogno di verificare, fisicamente ed emozionalmente, se i luoghi avessero conservato la forza ancestrale che comunicavano nel film. Ne sono nate immagini volutamente semplici e dirette, che accolgono il trascorrere lento del tempo, ma proprio per questo si caricano di memorie, si rivelano capaci di ascoltare i silenzi della terra e il linguaggio delle cose. Immagini che dimostrano che "quel paesaggio è ancora lì intatto" come Giovanna Gammarota stessa racconta...CLICCA PER VEDERE LE IMMAGINI
17 ott 2008
Film girati in Lucania
1. NEL MEZZOGIORNO QUALCOSA È CAMBIATO, CARLO LIZZANI, 1949 2. LE DUE SORELLE, MARIO VOLPE, 1950 3. LA LUPA, ALBERTO LATTUADA, 1953 4. IL CONTE DI MATERA, LUIGI CAPUANO, 1957 5. LA NONNA SABELLA, DINO RISI, 1957 6. VIVA L’ITALIA, ROBERTO ROSSELLINI, 1958 7. A PORTE CHIUSE, DINO RISI, 1960 8. L’ITALIA NON È UN PAESE POVERO, JORIS IVENS, 1960 9. ITALIA ’61, JAN LENICA, 1961 10. ANNI RUGGENTI, LUIGI DI ZAMPA, 1962 11. I BASILISCHI, LINA WERTMULLER, 1963 12. IL DEMONIO, BRUNELLO RONDI, 1963 13. IL VANGELO SECONDO MATTEO, PIERO PAOLO PASOLINI, 1964 14. LA VEDOVELLA, SILVIO SIANI, 1964 15. MADE IN ITALY, NANNI LOY, 1965 16. C’ERA UNA VOLTA, FRANCESCO ROSI, 1967 17. IL DECAMERONE NERO, PIERO VIVARELLI, 1972 18. NON SI SEVIZIA UN PAPERINIO, LUCIO FULCI, 1972 19. ALLONSANFAN, P. E V.TAVIANI, 1974 20. ANNO UNO, ROBERTO ROSSELLINI, 1974 21. IL SOLE ANCHE DI NOTTE, P. E V.TAVIANI, 1974 22. IL TEMPO DELL’INIZIO, LUIGI DI GIANNI, 1974 23. L’ALBERO DI GUERNICA ,FERNANDO ARRABAI, 1975 24. VOLONTARI PER DESTINAZIONE IGNOTA, ALBERTO NEGRIN, 1978 25. CRISTO SI È FERMATO AD EBOLI, FRANCESCO ROSI, 1979 26. QUI COMINCIA L’AVVENTURA, CARLO DI PALMA, 1975 27. TRE FRATELLI, FRANCESCO ROSI, 1981 28. KING DAVID ,BRUCE BERESFORD, 1985 29. L’ UOMO DELLE STELLE, GIUSEPPE TORNATORE, 1995 30. DEL PERDUTO AMORE, MICHELE PLACIDO,1998 31. OGNI LASCIATO È PERSO, PIERO CHIAMBRETTI, 2000 32. IO NON HO PAURA, GABRIELE SALVATORES, 2002 33. LA PASSIONE DI CRISTO, MEL GIBSON, 2004 34. TERRA BRUCIATA, DI FABIO SEGATORI, 2004 35. IL RABDOMANTE, FABRIZIO CATTANI, 2005 36. THE OMEN - IL PRESAGIO, JOHN MOORE,2006 37. THE NATIVITY STORY, CATHERINE HARDWICKE ,2006 38. LO STALLO, SILVIA FERRERI, 2007 39. MINEURS, FULVIO WETZL , 2007 http://www.aptbasilicata.it/fileadmin/uploads/opuscoli_informativi/Brochures/Cineturismo_Monaci_ecc/Cineturismo_italiano.pdf http://www.sassiweb.it/films1/
3 ott 2008
Il monachicchio
Secondo la tradizione il Monachicchio era lo spirito di un bambino morto prima di ricevere il battesimo.
Uno spiritello d’aspetto gentile, bello di viso, con in testa un berrettino di color rosso, “u cuppulicchii” (il cappellino). Appariva per lo più ai bambini come lui, e con questi trascorreva molto tempo a giocare, a ridere e a rincorrersi.
Quest’ultima cosa era la più desiderata da lui, in quanto sapeva che i compagni di gioco facevano a gara per toglierli “u cuppulicchii” . Chi riusciva, infatti, a strapparglielo dalla testa, si metteva a raccogliere monetine d’oro che copiosamente cadevano a terra con un caratteristico tintinnio.
Il Monachicchio, al contrario degli spiriti malefici, si mostrava ai bambini sia di giorno che di notte.
La sua presenza non dava mai fastidio, anzi faceva piacere perché si presentava sotto le sembianze di un folletto ed era, quindi, molto vivace, scherzoso e giocherellone.
I suoi lazzi preferiti erano: togliere le coperte dal letto, fare il solletico ai piedi e sussurrare dolci parole negli orecchi delle ragazzette.
A queste, specie se erano paffutelle, leccava delicatamente le guance. Molte volte si posava come un incubo sul corpo delle persone, oppure s’introduceva nel letto per sollevare il cuscino dalla testa e soffiare nelle orecchie dei dormienti.
Spesso si divertiva, durante la notte, ad annodare i peli della coda di asini e muli e la criniera dei cavalli, sotto la cui pancia si faceva trovare all’alba, quando i contadini si levavano dal letto.
La mattina, mentre i padroni degli animali erano intenti allo scioglimento dei nodi, il Monachicchio assisteva divertito al paziente lavoro e rideva a crepapelle se non riuscivano a slegarli.
Poi, tutto soddisfatto, battendo le mani, spariva nel suo fantastico mondo ove abitava in una grotta ricca di tesori.
Carlo Levi nel suo libro "Cristo si è fermato ad Eboli" lo descrive così: «I monachicchi sono esseri piccolissimi, allegri, aerei, corrono veloci qua e là, e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti.
Fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d’aria e fanno volare le carte e cadere i panni stesi in modo che si insudicino, tolgono la sedia di sotto alla donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il acre, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come zanzare.
Ma sono innocenti: i loro malanni non sono mai seri, hanno sempre l’aspetto di un gioco, e, per quanto fastidiosi, non ne nasce mai nulla di grave. Il loro carattere è una saltellante e giocosa bizzarria, e sono quasi inafferrabili.
Portano in capo un cappuccio rosso più grande di loro: e guai se lo perdono. Tutta la loro allegria sparisce ed essi non cessano di piangere e di desolarsi finché non l’abbiano ritrovato.
Il solo modo di difendersi dai loro scherzi è appunto di cercarli di afferrarli per il cappuccio: se tu riesci a prenderglielo, il povero monachicchio scappucciato ti si butterà ai piedi, in lacrime, scongiurando di restituirglielo.
Ora i monachicchi, sotto i loro estri e la loro giocondità infantile, nascondono una grande sapienza: essi conoscono tutto quello che c’è sottoterra, sanno i luoghi nascosti dei tesori.
Per riavere il suo cappuccio rosso, senza cui non può vivere, il monachicchio ti prometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro. Ma tu non devi accontentano fino a che non ti abbia accontentato; finché il cappuccio è nelle tue mani, il monachicchio ti servirà.
Ma appena riavrà il suo prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo sberleffi e salti di gioia, e non manterrà la sua promessa».
http://www.associazionefinisterre.it/cinti/cintidellamemoria_storie_monachicchio.htm
29 set 2008
Pisticci TRIBUTO A ROCCO SISTO - Attore Occasionale
Baragiano La terra di Basileus
27 set 2008
Il Sole e la luna
IL SOLE E LA LUNAQuando il Sole e la Luna si incontrarono per la prima volta,si innamorarono perdutamente e da quel momento cominciarono a vivere un grande Amore...
Allora il mondo non esisteva ancora e il giorno che Dio decise di crearlo, gli donò il tocco finale... la bellezza!
E decise anche che il Sole avrebbe illuminato il giorno e la Luna la notte, obbligandoli senza volerlo a vivere separati. I due si intristirono molto quando capirono che non si sarebbero mai più incontrati. La Luna diventava sempre più amareggiata malgrado la brillantezza che Dio le aveva donato, Lei soffriva di solitudine...Il Sole, a sua volta, aveva guadagnato un titolo di nobiltà "Re degli Astri", ma anche questo non lo rendeva felice... Dio li chiamò e li disse"non avete nessun motivo per essere tristi dopotutto avete una brillantezza che vi distingue l'uno dall'altra. Tu Luna, illuminerai le notti fredde e calde, incanterai gli innamorati e sarai molte volte motivo di poesia... Quanto a te Sole, sostenterai questo titolo perchè sei il più importante degli astri, illuminerai la Terra durante il giorno, fornirai calore agli esseri umani e la tua semplice presenza farà le persone felici... La Luna si intristì molto per il suo terribile destino e trascorreva i giorni piangendo. Il Sole soffriva per la tristezza della Luna, ma non poteva lasciarsi andare perchè doveva darLe la forza di accettare il destino che Dio aveva deciso per loro. La sua preoccupazione era tanto grande che pensò di chiedere un favore a Dio: "Signore, aiuta la Luna, per favore, lei è più fragile di me, non sopporterà la solitudine". E Dio con la sua bontà creò le stelle per tenere compagnia alla Luna. La Luna quando è molto triste ricorre all'aiuto delle stelle, che fanno di tutto per consolarla, ma quasi sempre non ci riescono. Tutt'oggi loro vivono così... separati. Il Sole finge di essere felice, e la Luna non riesce a nascondere la Sua tristezza. Il Sole è ancora caldo di passione per la Luna e Lei vive ancora nell'oscurità della solitudine. Il desiderio di Dio era che la Luna dovesse essere sempre piena e luminosa, ma lei non riusciva ad esaudirlo.. Perchè è una Donna e una Donna nella sua Vita ha delle fasi: quando è felice riesce ad essere piena e luminosa, ma quando è triste è calante, e quando è calante non è nemmeno possibile vedere la Sua brillantezza. Luna e Sole seguono il loro destino, Lui solitario ma forte, Lei in compagnia delle Stelle ma debole. Gli umani cercano in tutti i momenti di conquistarLa, come se questo fosse possibile. Ogni tanto alcuni uomini La raggiungono ma ritornano sempre soli, nessuno di loro è mai riuscito a portarLa fino alla Terra, nessuno di loro L'ha veramente conquistata, anche se pensavo di averlo fatto. Dio ha deciso che nessun Amore in questo mondo fosse del tutto impossibile, neanche quello tra la Luna ed il Sole ed è stato allora che ha creato l'eclissi. Oggi Sole e Luna vivono nell'attesa di questo istante, unico momento raro che li è stato concesso. Quando guarderemo il cielo e vedremo il Sole nascondere la Luna è perchè sdraiandosi su di Lei, incominciano ad amarsi.... La brillantezza della loro estasi è così grande che gli occhi umani non possono guardare l'eclissi... gli occhi potrebbero rimanere accecati... nel vedere tanto Amore.http://tracieloemandarini.blogspot.it/2008/09/il-sole-e-la-luna.html
22 set 2008
Tricarico su Familylife TV
20 set 2008
Giorno triste nella casa Tra Cielo e Mandarini
| Igor e dietro Lola |
Tra i campi, a lato di un albero, trovo Igor steso a terra. Morto da un paio di giorni, credo. Non lo vedevo da qualche giorno, non rispondeva al mio richiamo: IGOR, IGOR. Non rispondeva al mio fischio, un richiamo che lui conosceva benissimo. Non ci ho fatto caso.
Era normale che sparisse. Lui era libero, senza catena, senza guinzaglio, senza collare,come tutti i cani nella casa TRA CIELO E MANDARINI.
Aveva l'abitudine di andare e venire. Credevo che si fosse allontanato in cerca di compagnia femminile. Ogni tanto scompariva per qualche giorno e poi ritornava magro, stanco, affamato ma felice e scodinzolante. Veniva vicino con la testa china sapendo che lo avrei rimproverato ma sapeva anche che lo poi avrei accarezzato. Lo sgridavo e gli davo qualche pacca sulla testa. Igor sapeva che quello era il prezzo che doveva pagare per quella fuga verso l'amore.
Lo si poteva rimproverare? Certo che no! Il mio era un rimprovero di forma più che di sostanza. In realtà era un carezza.
Anche ora, lì steso al suolo l'ho accarezzato. Lui,però, questa volta non ha scodinzolato e nemmeno roteato. Era solo disteso e immobile.
Igor è' stato compagno fedele, mai invadente, mai eccessivo. Era li, silenzioso, con gli occhi a seguire ogni movimento. Con il suo abbaiare forte e cavernoso era il primo ad avvisarti che qualcuno era al cancello. Era il primo ad accoglierti al rientro e l'ultimo a lasciarti quando andavi via.
Ora Igor era in silenzio, morto, investito da un'auto. Questo era il suo destino. Doveva finire come era cominciato
Lo presi tanti anni fa, da un canile municipale dopo che era stato investito, anche allora, da un'auto. Erano lui e la sorella, mi dissero. Quella volta, Igor sopravvisse, la sorella no.Lo presi con me e lo portai nella casa Tra Cielo e mandarini.
Igor é, scusate, era un pastore maremmano, dolcissimo ma diffidente. Giocava con i gatti, divideva con loro il mangiare. Era il padrone indiscusso di quel territorio. Romeo, un piccolo meticcio, era la sua ombra e si sentiva al sicuro. Entrambi bianchi, entrambi girovaghi per il loro "feudo". Erano belli da vedere insieme. Lola, una pastore maremmano, li aspettava e quando ritornavano li ringhiava e li rimproverava. Come una donna rimprovera i suoi uomini quando non tornano presto a casa.
Quel giorno, proprio Lola mi ha accompagnato e indicato il corpo inerte di Igor. Mi prendeva la mano e mi tirava.
Seguendola ho visto da lontano la sagoma, Ho Chiamato: "Igor, Igor." Ho fischiato. Già sapevo!
Portato da Lola , gli ho accarezzato il capo, ma lui non ha scodinzolato.
Romeo in lontananza guarda senza avvcinarsi.
C'è tristezza tra gli abitanti della casa tra cielo e mandarini.
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| Ashua e Byron |
"Il cane mi domanda e non rispondo. Salta, corre pei campi e mi domanda senza parlare e i suoi occhi son due domande umide, due fiamme liquide interroganti e non rispondo, non rispondo perchè non so e niente posso dire. In mezzo ai campi andiamo uomo e cane. Luccicano le foglie come se qualcuno le avesse baciate ad una ad una, salgono dal suolo tutte le arance a collocare piccoli planetari in alberi rotondi come la notte e verdi, e uomo e cane andiamo fiutando il mondo, scuotendo il trifoglio, per i campi del Cile, fra le limpide dita di settembre. Il cane si arresta, corre dietro alle api, salta l'acqua irrequieta, ascolta lontanissimi latrati, orina su una pietra e porta la punta del suo muso a me, come un regalo. Tenera impertinenza per palesare affetto! E fu a quel punto che mi chiese, con gli occhi, perchè ora è giorno, perchè verrà la notte, perchè la primavera non portò nel suo cesto nulla per cani vagabondi, ma inutili fiori, fiori e ancora fiori. Questo mi chiede il cane e non rispondo. Andiamo avanti, uomo e cane, appaiati dal mattino verde, dall'eccitante vuota solitudine in cui solo noi esistiamo, questa coppia di un cane rugiadoso e un poeta del bosco, perchè non esistono uccelli o fiori occulti, ma profumi e gorgheggi per due compagni, per due cacciatori compagni: un mondo inumidito dalle distillazioni della notte, un tunnel verde e poi una prateria, una raffica di vento aranciato, il sussurro delle radici, la vita che cammina, respira, cresce, e l'antica amicizia, la gioia di esser cane e di esser uomo tramutata in un solo animale che cammina muovendo sei zampe e una coda intrisa di rugiada."
14 set 2008
Grottole: il castello e Abufina
Una notizia, non ancora verificata, narra che il castello di Grottole fu fatto costruire nell'851 da Sichinulfo, un duca longobardo principe di Salerno. Fatto edificare con materiale calcareo e difeso da una serie di merli e feritoie, per i numerosi arcieri, difendeva la città di Grottole, che anticamente, come si legge nei Registri Angioini, era cintata di mura con vallo e ponte levatoio. Probabilmente il duca Sichinulfo aveva voluto questa fortezza soprattutto per difendere i territori venuti in suo possesso.
Oggi non rimane che un colossale torrione, con una sola finestra spalancata verso il paese e, se la si osserva con attenzione nelle notti di luna e nei mesi da aprile a giugno, è facile vedervi una figura di una donna, Abufina, la più bella e la più sfortunata ragazza mai vissuta a Grottole. E’ la storia di un grande amore che inizia così. Un giorno Abufina, bellissima dama, ricamava seduta accanto alla finestra del torrione: ella possedeva la pelle bianca come latte e pensava al suo amore, Selepino, che combatteva in terra lontana. All’improvviso, mentre era intenta ai lavori domestici, avvertì lo scalpitio di un cavallo; era un messaggero che portava un plico che così recitava: “Vieni, Abufina, vieni da me; io che uccido i nemici, me l'amore mi uccide; vieni, Abufina, vieni da me: insieme con te al castello di Grottole sol tornerò; fà presto, fà presto...”. E Abufina partì, ma il bianco cavallo, distratto dalle pietre luccicanti e scivolose del fiume Basento, s’impennò, e la bella fanciulla fu travolta nei vortici del fiume. La leggenda narra che il signore del castello, per onorare la memoria di una fanciulla, Abufina, morta per andare incontro al suo amore vi collocò una lapide (di cui era possibile vedere fino agli inizi del secolo scorso dei frammenti) con una scritta: “Ad Abufina la bella, che corse, cui fu dolce morire d'amore; questa torre che fu tua dimora, parli sempre alle genti di te. Ogni amante ti porga un saluto, e si stringa al suo cuore l'amata...”. Ancora oggi il Basento, pentitosi per aver distratto il cavallo bianco, pare che mormori ogni tanto il nome di Abufina.
fonte:http://www.icastelli.it/regioni/basilicata/matera/grottole.htm
9 set 2008
...dopo più di 10 anni.
Come al solito ero affascinato dalle strade e dai panorami della Basilicata ma ad un certo punto, verso la fine della strada ho visto, anzi rivisto, un casello ferroviario che immediatamente mi ha rimandato indietro a dieci anni fa.
In passato avevo l'abitudine, la buona abitudine, di avere con me un diario di viaggio.
All'epoca viaggiavo quasi sempre in autostop. Ho cercato tra i vari cassetti e ho trovato gli appunti di quei giorni. Precisamente di quel giorno d'agosto di undici anni fa, era il 4.08.1997. Io e un mio collega universitario (Marco A.), avevamo appuntamento a San Brancato di Sant'Arcangelo. Di lì, poi, insieme ci saremmo dovuti recare da un certo Pasquale A., pastore e suoantore di uno strumento a fiato ( tipo flauto) da lui creato. Uno dell'ambiente universitario di antropologia culturale ed etnomusicologia parlò di lui al dipartimento. Ci mandarono immediatamente , a me e Marco, ad incontrare e intervistare Pasquale.
Arrivammo da lui come un troupe televisiva, armati di telecamere, faretti, registratori, macchine fotografica ecc. Immaginate dieci anni fa, appena dieci, quale ingombro potevano avere questi marchigegni. Meno male che Marco venne in auto. Passamo tre giorni tra le campagne e boschi,di Roccanova e Sant'arcangelo. Tre giorni con Pasquale, la sua musica, le sue pecore e suoi cani. Ma questa è un'altra storia.
Di quei giorni ho trovato, tra gli appunti, le note del viaggio di andata e qualche fotografia di Pasquale. Il resto credo sia conservato nell'archivio del dipartimento dell'Università.
Ecco il racconto di quel pomeriggio caldo di agosto: 4/8/97 Sono partito da casa che erano quasi le tre, dopo trenta minuti più o meno, ed aver lasciato la Basentana, sono al bivio di Craco – Pisticci. C’è una fontana, un pilaccio; l’acqua è fresca e saporita e il suo gusto rimane nel palato. Mi sposto alla ricerca d’ombra. Alla mia destra si vede, lì su un colle, la torre della vecchia città di Craco, alla sinistra Pisticci.Tutto intorno non varia mai, il colore, la luce. Sono dentro i calanchi. Cammino nel suo cuore. Ogni tanto mi volto, mi sembra di sentire il rumore di un auto in arrivo. Non è sulla mia stessa strada. Il rumore è di un auto che percorre chissà quale strada vicina. Avverto di tanto in tanto odori d’animali morti, in stato di putrefazione. Vedo anche delle carcasse che qualche automobilista distratto e veloce ha lasciato dietro di se. Mi tolgo gli occhiali da sole per non avere filtri. Cerco un po’ di ombra, ma intorno solo calanchi e qualche arbusto bruciato dal sole. I calanchi mi fanno venire in mente le mani d’anziani contadini bruciate dal sole e indurite dai calli del lavoro. Alle 15.40 circa, un uomo si ferma con la sua auto e mi carica. Mi lascia dopo alcuni chilometri su un cavalcavia. Aliano- Santarcangelo a destra, Tursi a sinistra. “ Circa duecento, trecento metri in fondo, c’è una vecchia stazione d’autobus abbandonata. Però qualche auto si ferma ogni tanto.”- Mi dice l’automobilista. Sono sulla s.s. 598, fondo Val d’Agri. La stazione è molto più che a trecento metri. Alle mie spalle i calanchi s’allontanano con loro anche l’aria rarefatta dal calore. Un paesaggio più verde e ospitale s’estende ai lati della strada. Gli alberi e le colture rinfrescano l’atmosfera. Arrivo alla stazione abbandonata. C’è una fontana. L’acqua è fresca e piacevole, mi rinfresco il collo e mi bagno i capelli, sento l’acqua scivolare giù per la spalla. Oltre a me nel piazzale della stazione c’era un vecchio, mezzo cieco, mezzo zoppo e, mi accorsi dopo, mezzo rimbambito. Lancia bottiglie e carta sulla strada. Mi chiama a se e il suo interesse sono i miei occhiali da sole. Mi chiede se sono occhiali da sole. Gli piacciono. I suoi sono anche loro tutti neri ma sono da vista e con orgoglio mi racconta che gli sono costati duecentocinquanta mila e in più ha pagato settantacinque mila per la vista oculistica. C’è un suo amico che se li vuol comprare però gli vuole dare solo mille lire. Sono le 16: 30 circa. Alle 18: zero ho appuntamento con Marco a Sant’arcangelo. Penso di essere a trenta chilometri dal paese. Gioco con la mia ombra proiettata sull’asfalto.Il vecchio si è spostato all’altro lato della strada. Non so precisamente che cosa faccia qui. Mi ha detto che deve andare a Montalbano. Intanto, continua a lanciare oggetti in mezzo alla strada. Spezza dei rami e li scaraventa sull’asfalto. Ogni volta che un auto passa su qualcosa lanciata da lui si mette a ridere, e ride con soddisfazione. Ad essere sincero faceva ridere anche me. Questa strada è percorsa da molte auto ma nessuna finora si è fermata. L’aria è meno calda ed afosa Il passaggio dai calanchi ai frutteti è improvviso, per niente graduale. I colori anche qui sono forti e vivaci. Il contorno stride con la stazione, con le sue tinte, sbiadite dal passare del tempo e delle stagioni. Le lettere del nome della stazione, attaccate sul muro si stanno sbriciolando. Altre si sono staccate lasciando l’orma sul muro; ancora si riesce a leggere la scritta Montalbano J.co. Intorno alla costruzione, nel gran piazzale, giganteschi salici piangenti creano ombra. Ore 16: 30, un ragazzo con una Uno bianca si ferma. “Santarcangelo. Verso Santarcangelo?” Chiedo. Mi guarda, sorride, mi fa cenno con la testa di salire. “Ti ho visto sulla strada, prima ancora ho visto quel vecchio. Pensavo fosse successo qualcosa.” Dice. “Poco fa ho soccorso un tipo che s’è ferito, cosa da poco, in un piccolo incidente sulla strada. Poi sono ritornato in azienda, dove lavoro, ho preso il muletto e ho spostato la sua auto dal centro della strada.” Gli chiedo dove lavora. “In un azienda agricola”, risponde. “È grande oltre duemila ettari. Il proprietario possiede la maggior parte delle terre da qui fino a Policoro. Neanche lui sa precisamente dove finiscono ed iniziano” Il ragazzo è simpatico e sembra anche abbastanza sveglio. “Come ?!” Esclama quando gli dico di non conoscere questo De Ruggieri, padrone di tutte queste terre. “ Per farti un esempio. Il castello ed il borgo vecchio di Policoro sono di De Ruggieri.” Non riesco ad immaginare come si possano possedere duemila ettari di terra. Provo a visualizzare il viso ed il comportamento di questo feudatario del duemila. Cambio argomento e gli chiedo informazioni su Sant’arcangelo. “ Non c’è vita perché non c’è gioventù. E non ci sono giovani perché non c’è lavoro” Il ragazzo mi racconta storie già ascoltate e conosciute. È la storia di tutti questi paesi del sud e profondo centro sud, tagliati fuori dei programmi di sviluppo. “Solo nella provincia di Parma”, continua, “ ci sono circa sessanta ragazzi tra i venti ed i trent’anni. Poi ci sono altri che sono andato a Reggio Emilia, a Ferrara, Modena. Qualcuno è andato in Svizzera dove aveva dei parenti. La nuova America o Germania, oggi è l’Emilia Romagna. La c’è lavoro e anche il divertimento. Non è mica come qua.” Dopo un po’ di chilometri arriviamo in paese. Mi chiede se devo andare in un posto preciso nel paese. Gli dico che devo fermarmi a San Brancato, vicino alla stazione dei carabinieri, dove ho appuntamento con Marco. “ Io vado a Sant’arcangelo. Faccio il giro lungo e ti accompagno” Mi porta al luogo dell’appuntamento e scendo. “ Grazie”, dico e “ io mi chiamo Giuseppe” “Vito”. Sorride come quando s’è fermato e se ne va. Sono le 17: 00 passate. Dovrò aspettare un’ora prima che Marco arrivi
7 set 2008
Brienza: il castello Caracciolo e la leggenda di Bianca
LA leggenda di Bianca e il castello Caracciolo di Brienza
A Brienza (PZ) si racconta che nel castello che domina il borgo, tra i tanti ospiti che qui hanno trovato accoglienza e animato le sue stanze e i suoi saloni , una in particolare abbia lasciato un segno indelebile. Un segno rimasto vivo tra le mura del castello che sussurrano storie di uomini valorosi e di dame bellissime. Su tutte risuona la storia dei Bianca da Brienza.
In questo castello, verso la metà del 1300, pare, vi vivesse unadonna di nome Bianca, bella e lussuosa.
Ella era solita dare delle feste alle quali prendeva parte vestita dai soli gioielli di cui era fiera; intratteneva i suoi ospiti danzando languidamente e tuffandosi in un mastello pieno di monete d'oro.
Si narra che il suo tesoro fosse custodito in una stanza segreta del castello che possedeva 365 stanze, tanti quanti i giorni dell'anno. La stanza in cui il tesoro fosse nascosto è la 366, una stanza segreta. Tanto segrata che i soli a conoscerne il tragitto fossero Bianca e la sua fedele ancella.
Ma il destino eveva in serbo per lei una percorso diverso dal lusso e dagli agi del castello di Brienza.
Durante un viaggio verso Amantea fu catturata dai pirati e portata ad Algeri; qui un pascià se ne invaghì e la volle con sè.
Da quel momento non si seppe più nulla di lei e del suo tesoro.
Tutt'oggi la 366 stanza non è stata scoperta e, secondo la leggenda, chi troverà questa stanza diventerà ricco e padrone del tesoro.
31 ago 2008
Aliano
La Magna Grecia Metapontum-Heraclea-Siris
27 ago 2008
Lucania: qui è nata la pasta
Bernalda: Festa di san Bernardino da Siena
17 lug 2008
3 lug 2008
La Tavola Bantina e la Stirpe degli Osci
La Tabula Bantina è il più importante reperto mai rinvenuto sulla lingua degli Osci, popolazione indo-europea dell'Italia antica, stanziata in Campania e in parte della Basilicata verso l'VIII secolo a.C..
La Tabula fu trovata nel 1790 sul monte Montrone, nel territorio di Oppido Lucano, tra i resti di un’antichissima tomba. È costituita da una lastra di bronzo divisa in tre pezzi ed in alcuni frammenti. Datata forse tra il 150 a.C. e il 100 a.C., ha incisioni grafiche su ambedue le facciate.
Da una parte vi è lo statuto bantino, una legge municipale dell'antica città di Bantia (l'attuale Banzi in provincia di Potenza), del cui municipio faceva parte anche Oppido. È scritto in lingua osca ma con caratteri latini. Sull'altra facciata è inciso un plebiscito, una legge di Roma, ancora in lingua latina. Alcuni frammenti sono conservati nei musei archeologici di Napoli e Venosa.
Dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 16 dicembre 2004 si riporta la notizia della scoperta di terme balneari fatte costruire dal ricco sacerdote di nome Romanius e trovate, insieme all'epigrafe-mosaico, di fronte al templum auguraculum in terris. Un'ulteriore conferma dell'importanza dell'antico sito di Bantia. ...continua28 giu 2008
Grassano.Chiesa della Madonna della Neve e la leggenda del contadino povero
Esiste anche una curiosa leggenda popolare legata a questa chiesa, la quale racconta che “un povero contadino decise di vendere l’anima al diavolo in cambio di molte ricchezze. Ma con il passare degli anni, sentendo avvicinarsi il momento in cui sarebbe morto, iniziò ad aver paura di andare all’inferno e cominciò a pregare la Madonna perché lo aiutasse a salvare la sua anima dalla dannazione eterna. Fu così che una notte gli apparve in sogno la Madonna della Neve che gli disse: “Figlio mio, se vuoi salvarti in segno di penitenza segui la Santa Messa nella mia chiesa, ma non distrarti qualsiasi cosa succeda”. Il giorno dopo, appena sveglio, il contadino prese il suo cavallo e uscì per andare a seguire la Santa Messa. Arrivato davanti la chiesa della Madonna della Neve legò il suo cavallo all’anello di ferro posto (sino a qualche anno fa) accanto al portone d’entrata della chiesetta e andò fiducioso a seguire la funzione. Ma durante la messa il diavolo, accortosi di ciò che stava succedendo, si impossessò del cavallo del contadino che iniziò a nitrire e a scalciare con forza contro il muro della chiesa. I colpi erano così forti da far tremare tutta la chiesa. La gente, impaurita, cominciò a strattonare il contadino affinché andasse a calmare il suo cavallo, ma lui era così concentrato nell’ascoltare la Santa Messa che non diede retta a nessuno, né si lasciò impaurire da tanto baccano. Terminata la funzione il contadino all’uscita della chiesa, si trovò senza cavallo e con in dosso gli stessi poveri abiti che possedeva un tempo. Tutti i suoi beni erano scomparsi. Così povero, ma felice, si addormentò e morì, finalmente in grazia di Dio”.la leggenda del Barbiere di Federico Barbarossa
Sandro Botticelli, Allegoria della calunnia (da Apelle). Dettaglio. 1495. Tempera su legno, Uffizi di Firenze.
Re Mida affiancato da due figure femminili, che rappresentano il sospetto e l'ignoranza, le quali sussurrano cattivi consigli nelle orecchie d'asino del Re.
Il nostro barbiere era intenzionato a mantenere il segreto, ma la notizia era grossa; non volendo però mancare alla promessa fatta, temendo giustamente per la propria vita, andò
nel luogo più nascosto della campagna di Lagopesole, vi scavò un buco profondo nel terreno e, parlandoci dentro, raccontò il segreto dell'Imperatore. Dopo qualche tempo, sul posto, crebbero delle canne che, agitate dal vento, con il loro fruscio sempre più forte ed insistente,
ripetono ancora oggi una canzone: "Federico Barbarossa téne l'orecchie all'asinà a a
a a ...".
Di qui il ritornello è giunto fino ai tempi nostri ed è stato ripreso
anche in canti popolari della zona. Non sarà sfuggito la somiglianza fra
quanto raccontato e il mito di Re Mida, punito da Apollo con delle orecchie d’asino.
Viggianello e il Carnevale di Paglia
Questo carnevale rientra tra quelle manifestazioni del carnevale lucano che hanno ricercato eriaffermato la propria identità.Il Carnevale di Viggianello, così come lo conosciamo oggi, ha origine nel 1986. Convenzionalmente questa data dà il via alla realizzazione dei carri allegorici e alla sfilata. Ma il carnevale ha origini ben più antiche.
È sicuramente un carnevale povero, di matrice contadina. Tra le usanze più comuni si riscontra quella dei “frassi”, gruppi mascherati, travestiti con stracci di fortuna, che si aggirano per le case
27 giu 2008
Lucania, terra di Luce
Esistono varie ipotesi sull'origine del toponimo Lucania:
* dai Lucani, popolazione osco-sabellica proveniente dall'Italia centrale, che a loro volta avrebbero preso il nome dall'eroe eponimo Lucus;
* dal termine latino Lucus ("Bosco");
* dal termine greco Lykos ("Lupo");
* dai Lyki, popolazioni provenienti dall'Anatolia che si sarebbero stabiliti nella valle del fiume Basento;
http://it.wikipedia.org/wiki/Basilicata
Rotondella: nascita del villaggio
21 giu 2008
Nucleare: se tutti producessimo energia in casa ci risparmieremmo 5 centrali

Se tutti producessero l’energia in casa, con pannelli solari e ’microcentrali’ a biomasse si potrebbero risparmiare 5 centrali nucleari persino nella poco assolata Gran Bretagna. Lo afferma uno studio del ministero dell’energia britannico, secondo cui con un mix di incentivi e finanziamenti statali sarebbe possibile, oltre a produrre l’elettricita’ di cinque centrali, risparmiare ogni anno 30 milioni di tonnellate di CO2.
Attualmente, spiega lo studio citato dal Guardian, in Gran Bretagna ci sono centomila unita’ di microgenerazione, cioe’ sistemi di produzuione di energia elettrica applicati a singoli edifici. Secondo il rapporto questa cifra potrebbe arrivare a 3 milioni, vale a dire quasi un edificio su cinque che diventerebbe autosufficiente o addirittura produttore di energia.
Tra i piani proposti per raggiungere l’obiettivo ci sono sgravi fiscali, mutui agevolati e contributi statali, che potrebbero costare fino a un massimo di 2,7 miliardi di euro all’anno fino al 2030, a fronte di un costo per una centrale nucleare di circa tre miliardi di euro esclusa la manutenzione. ’’La microgenerazione, combinata con altre misure, puo’ contribuire a ridurre le emissioni - ha affermato il ministro dell’energia britannica Malcom Wicks - e’ una cosa che ogni cittadino puo’ fare per salvare l’ambiente’’
http://www.darlingtonindustry.it/news/spip.php?article25
18 giu 2008
Rom e Immigrazione
Povera Italia, piena di Ipocrisia.
Povera Italia, pensa a vincere agli europei che il resto conta poco.

La vignetta è uscita il 22 maggio sul cattivo quotidiano comunista, insurrezionalista, irriverente,blasfemo, ecc, ecc.,Liberazione
Vorrei indicare un bell' intervento di Don Luigi Ciotti sulla sicurezza e sui Rom.
"Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti...
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Miglionico: Il castello e la carrozza d'oro
Vagabondando per e nella Basilicata
17 giu 2008
Tolve : il castello e la danza degli spettri
Fu tutto in un attimo: l'intera ala del Castello precipitò dalla rupe nel sottostante torrente per decine di metri, trascinando con sé gli sventurati invitati. Il terremoto, un evento che ha segnato per secoli la terra lucana, infranse in un attimo il sogno della giovane sposa e mutò in tragedia la festa. I Tolvesi ancora oggi, sul greto del torrente, nelle notti di luna piena, possono sentire il suono degli strumenti, i passi di danza, il vocio della festa e le urla disperate di chi precipitava nel vuoto. Alcuni hanno visto le figure leggiadre delle giovani fanciulle volteggiare per un attimo prima che il loro viso si trasformasse in una maschera di terrore. Oggi blocchi squadrati di pietra sul greto del torrente indicano ancora dove rovinò l'ala del Castello. Se capitate a Tolve in una notte di luna piena recatevi al torrente, cercate le pietre del Castello ed attendete da soli la mezzanotte
www.tracieloemandarini.blogspot.com
http://docrock.interfree.it/aneddoti.htm






